(da New York) Il verdetto del processo a Derek Chauvin, l’ex agente di polizia di Minneapolis ora condannato per l’omicidio di George Floyd, l’afroamericano morto soffocato sotto il suo ginocchio, scioglie le tensioni che da mesi accompagnano Minneapolis e Saint Paul, le due città gemelle, capoluogo del Minnesota. La notizia della condanna ha entusiasmato gli animi, rinvigorito la speranza nella giustizia, restituito dignità agli afroamericani, ma per l’arcivescovo di Minneapolis, Bernard A. Hebda, la decisione della giuria è “un momento che deve far riflettere la comunità” e interrogarla su come ricucire questa “rottura della fraternità e dell’armonia”, ricorrendo al “potere curativo del perdono, della compassione, della riconciliazione e della pace”. Monsignor Hebda chiede il conforto per la famiglia di Floyd e per chi piange, e chiede anche la piena soddisfazione di chi ha sete di giustizia, senza dimenticare che in tempi difficili serve lavorare in modo non violento per il bene comune ed essere strumenti di riconciliazione, anche dopo il verdetto.
Ci sono volute dieci ore di camera di consiglio, tre settimane di processo, l’ascolto di 45 testimonianze e le devastanti riprese video che hanno documentano la morte di Floyd per arresto cardiopolmonare per giudicare l’ex agente di polizia colpevole di omicidio di secondo e terzo grado e di omicidio colposo. Sono trascorsi 330 giorni dalla morte di Floyd e serviranno ancora otto settimane prima che il giudice Peter Cahill scriva la sentenza che rende definitiva la condanna.
A seguito del verdetto, anche la Conferenza episcopale statunitense ha dichiarato che “la morte di George Floyd ha messo in evidenza ed amplificato la profonda necessità di vedere la sacralità in tutte le persone, ma soprattutto in quelle storicamente oppresse”.
“Come abbiamo visto chiaramente lo scorso anno, le ingiustizie sociali esistono ancora nel nostro Paese, e la nazione rimane profondamente divisa su come correggere coloro che hanno torto”, ha continuato la dichiarazione firmata dal vescovo Shelton J. Fabre, presidente del Comitato per razzismo voluto dalla conferenza episcopale Usa e dal vescovo Paul Coakley, presidente della commissione per la giustizia e lo sviluppo . “In quanto comunità diversificata,
la Chiesa cattolica è impegnata a cambiare i cuori e le menti
e a condurre la conversazione sulla razza, al di là delle accuse e delle recriminazioni, verso soluzioni pratiche e non violente ai problemi quotidiani che si incontrano in queste comunità”, scrivono ancora i vescovi invitando ad unirsi “al duro lavoro di ricostruire pacificamente ciò che l’odio e la frustrazione hanno abbattuto”, come “vera opera di giustizia riparativa”.
Anche i vescovi del Minnesota hanno ribadito il loro impegno “nell’eradicare le strutture di peccato e razzismo nel Minnesota e oltre”.
Le parrocchie e le scuole cattoliche dell’arcidiocesi hanno risposto alle proteste, ai disordini, ai disagi che hanno accompagnato questo lungo anno dalla morte di George Floyd e la nuova uccisione di Duante Wright, con preghiere, seminari e gruppi di studio sul razzismo.
Nella chiesa di St. Thomas More a St. Paul, i membri di una task force contro il razzismo hanno organizzato due ore di preghiera ogni giorno per tutta la durata del processo e lo stesso a St. Peter Claver.
“Non chiamerei giustizia il verdetto di oggi”, ha commentato il procuratore generale del Minnesota Keith Ellison, il principale pubblico ministero nel caso contro Chauvin. “Perché la giustizia implica una vera riparazione. Quello di oggi è un atto di responsabilità, che è il primo passo verso la giustizia”.
Una giustizia riparatoria implicherebbe la restituzione della vita a George Floyd, ma non c’è modo per farlo, né per lui, né per Duante, Breonna, Adam, Emmet e per tutte quelle vite derubate dalla supremazia bianca.