Anche in tempo di pandemia migranti e rifugiati sono il capro espiatorio prediletto dagli odiatori, a fianco di operatori sanitari, runner e di coloro che godono di presunti ed esclusivi benefici. E’ quanto emerge dalla ricerca di Amnesty international Italia “Il Barometro dell’odio”, giunta alla sua quarta edizione e dedicata quest’anno all’intolleranza pandemica, ossia l’analisi dell’impatto della pandemia da Covid-19 sui diritti economici, sociali e culturali e sull’odio online. La ricerca, svolta tra giugno e settembre 2020, ha preso in analisi oltre 36.000 contenuti unici, tra post/tweet e relativi commenti di 38 pagine/profili pubblici di politici, testate giornalistiche, rappresentanti del mondo sindacale (organizzazioni e singoli) ed enti legati al welfare. Dall’analisi è emerso che: i commenti sono nel 10,5% dei casi offensivi e/o discriminatori e l’1,2% di questi è hate speech (+0,5% rispetto alle scorse edizioni). Si offende di meno, si incita di più all’odio; l’odio online è più radicalizzato quando incrocia i temi legati ai diritti economici, sociali e culturali; i dati aumentano quando questo tipo di contenuti incrocia anche temi come “immigrazione” e “rom”. Le principali sfere dell’odio sono: nei post/tweet islamofobia (46%), sessismo (31,3%), antiziganismo (23,1%), antisemitismo (20,1%), razzismo (7,9%); nei commenti islamofobia (21%), razzismo (19,6%), antiziganismo (19%), antisemitismo (16,6%), omobitransfobia (14,5%). Andando oltre le prime cinque sfere dell’odio più diffuse tra i commenti, troviamo quella classista (11,2%). La ricerca completa è disponibile al link: https://www.amnesty.it/barometro-dellodio-intolleranza-pandemica/