“La partecipazione di tutti gli ecuadoriani, in uno Stato democratico, è un obbligo civico che ci impegna a esprimere la nostra opinione e a decidere”. Al tempo stesso, “coloro che saranno eletti dovranno governare per l’intero Ecuador, in dialogo, rispetto e collaborazione con tutti i settori della società”. È quanto scrive il Consiglio di presidenza della Conferenza episcopale ecuadoriana (Cee), in occasione del ballottaggio delle presidenziali di domenica 11 aprile.
In lizza Andrés Arauz, il candidato della sinistra fedele all’ex presidente Rafael Correa, che al primo turno ha ottenuto il 32,7% dei voti, e il banchiere Guillermo Lasso, liberale di centrodestra, che parte dal 19,7%.
I sondaggi della vigilia annunciano una sfida equilibrata, dato che nel Paese è forte la polarizzazione, in un senso e nell’altro verso la figura di Correa. Per esempio, il socialdemocratico Xavier Hervás, che al primo turno ha ottenuto il 16%, pur lasciando libertà di voto, ha fatto capire che voterà Lasso. Più articolato il dibattito tra i sostenitori del leader indigeno Yaku Pérez, che al primo turno si è fermato a pochissimi voti dal ballottaggio. Pérez, che si considera vittima di una frode elettorale, ha invitato ad annullare la scheda. Ma la candidata vicepresidente del suo schieramento, Virna Cedeño, ha invitato a votare per Lasso, il quale dunque, al di là del suo deludente risultato al primo turno, rischia di fare il “pieno” del voto “anti-correista”.
I vescovi, nella loro nota, sottolineano che “è un obbligo morale e civico cercare in modo cosciente e razionale coloro che siano più capaci di affrontare, con realismo e speranza, la crisi sanitaria, economica ed etica che connotano oggi la realtà personale, familiare, lavorativa e sociale degli ecuadoriani”. Nelle ultime settimane nel Paese ci sono state forti polemiche sulla gestione della pandemia e della campagna vaccinale, partita a rilento e all’insegna di corruzione e favoritismi.