Terremoto L’Aquila: card. Petrocchi (arcivescovo), “la comune tragedia, affrontata insieme, ha stretto, con nodi inscindibili, il mutuo senso di appartenenza”

“Questa liturgia, in cui commemoriamo le vittime del sisma del 6 aprile 2009, non è dominata da una mestizia reclinata su sé stessa, ma è avvolta dalla luce e dalla grazia della Pasqua”. Lo ha sottolineato, ieri sera, il card. Giuseppe Petrocchi, arcivescovo di L’Aquila, durante la messa in suffragio delle 309 vittime del terremoto del 6 aprile 2009, nella chiesa di di Santa Maria del Suffragio.
Oggi, ha aggiunto, “siamo esortati” non solo a “ricordare” quei “drammatici momenti del 6 aprile 2009”, ma a “farne memoria”, “vivendoli come comunità ecclesiale e civile”.
Ricordando che “popolo” significa “riconoscersi ed operare come comunità caratterizzata dalla stessa ‘identità’ – storica, culturale e sociale – così come sentirsi corresponsabili e protagonisti nell’affrontare sfide collettive, come anche nel costruire prospettive future che riguardano tutti e ciascuno”, il cardinale ha evidenziato: “Il dramma del terremoto ha reso ancora più ‘popolo’ la gente aquilana: la comune tragedia, affrontata ‘insieme’, ha stretto, con nodi inscindibili, il mutuo senso di appartenenza”. Un altro fattore, che “crea legami costitutivi”, è “la determinazione collettiva nel reagire alle emergenze e la volontà perseverante di ricostruire”.
Il porporato ha pure evidenziato che “la matrice cristiana della sua cultura e la configurazione ‘montanara’ (cioè tenace e vigorosamente reattiva) ha spinto sempre il popolo aquilano ad affrontare le difficoltà, anche devastanti, con la ferma speranza che, dichiarando guerra alla morte (in tutte le sue forme) e mobilitandosi a favore della vita, con l’aiuto di Dio si sarebbero attivati processi vincenti di risurrezione”.
Il card. Petrocchi si è detto “persuaso che se si venisse fatta un’analisi del Dna del popolo aquilano si ritroverebbero – tra i cromosomi identitari – la ‘resilienza al sisma’: questi fattori ‘strutturali’ suscitano ‘anticorpi caratteriali’ che neutralizzano i virus della disgregazione sociale e sconfiggono la sindrome della disfatta”.
Altro “gene” identitario è la “tenacia del ripartire”, che “si rende visibile nella spinta perseverante alla ricostruzione. Dal ‘gene’ della ripartenza, sempre e a qualunque costo, si sviluppa il ‘genio’ del reinventarsi, pure davanti alle macerie, una esistenza non solo ‘ri-adattata’, ma ‘re-inventata’ e di ‘nuovo conio'”. Per tali motivazioni, ha osservato l’arcivescovo, “la commemorazione, che stiamo celebrando, non riguarda solo i familiari delle vittime e la rete degli amici: è un evento di popolo!”.

 

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