Il Risorto cambia la vita, le conferisce un senso altro, diverso. Non tanto la risurrezione come evento – chissà mai come si sarà svolto? Abbiamo un bello speculare ma non lo sappiamo.
È il Risorto che dona Luce e pienezza.
Nella pericope evangelica il Risorto di primo acchito non compare. Non compare però neppure il morto, il cadavere.
Viene indicato solo il luogo. Vuoto, con assenza del corpo martoriato.
Un angelo tramortisce le guardie con il suo aspetto ma non le donne.
L’agguato della paura incombe: non sanno che pensare, non ci viene descritto il turbinio dei pensieri, l’accavallarsi del sentire. Se ne chiedono il senso? Non ci viene detto questo “senso”. Da loro stesse non emerge nulla, solo l’interrogativo dinanzi ad una pietra rimossa e all’aspetto sfolgorante del messaggero.
Se le guardie sono tramortite per la paura e l’intensità della carica luminosa delle vesti dell’angelo, questi non le degna di uno sguardo, le mette solo fuori gioco.
Si preoccupa invece di decantare la paura (peraltro legittima) delle donne con parole che dovettero incidersi dentro il loro animo senza lasciare spazio al dubbio, alla perplessità.
Prova ne sia che si affrettano ad eseguire, ad annunciare, loro donne ai discepoli maschi, che quanto Gesù aveva detto, ripetutamente, in realtà era avvenuto.
Gesù è risorto. Non solo, proprio Gesù il crocifisso, quindi non ci si poteva sbagliare.
Perché non le ha aspettate Egli stesso? Perché non ha dato l’annuncio con la sua persona sfolgorante ed invece si è servito di un messaggero?
Si apre lo spazio della libertà individuale. All’ascolto le donne si sarebbero potute opporre, obiettare quanto chiunque avrebbe ritenuto non solo legittimo ma anche doveroso. Invece è la fede che compare, nata e cresciuta nell’ascolto delle parole di Gesù ma soprattutto di Lui stesso, la Parola fattasi carne.
Riportare al loro udito le parole di Lui, significa abbattere le barriere e fare memoria di quanto il loro cuore fosse ascoltante, docile. Pronto, anche in quel fatidico momento, a schierarsi nell’adesione, pienamente libere.
Cambia l’animo, il cuore delle donne, alle parole di un angelo. Parole che devono essere risuonate non solo vere ma anche trasformanti, capaci di imprimere una direzione opposta al loro sentire.
“Con timore e gioia grande” è scritto. Timore per la reazione dei discepoli o piuttosto per la qualità del loro annuncio? Avrebbero dovuto asserire che un morto non era morto, meglio che Colui che era morto davvero, per di più crocifisso, morto non era ma era risorto. Che ne sapevano le donne di un corpo risorto? Nulla probabilmente. Eppure perché Egli lo aveva detto, esse accettato e si fanno annunciatrici.
Con il timore convive la gioia che conferisce un tono lieto, festoso. Quindi significa che le donne mossero il passo della fede e credettero, aderirono, perché altrimenti il loro animo non avrebbe espresso gioia ma soltanto distanza: vi diciamo quanto ci è stato detto ma, tutto sommato, quale credito possiamo darvi?
Gesù stesso va loro incontro, cioè lungo la strada da percorrere, in fretta per di più, avviene l’incontro non perché le donne Lo cercassero ma perché Egli le cerca. Tutto parte da Lui. Non le ha costrette con l’imponenza del Risorto, le ha condotte per via di libertà a riconoscerLo.
Inoltre Gesù è Gesù: niente vesti bianche, niente sfolgorio.
Però Egli emana tutta la luce del Risorto, di Colui che ha vinto la morte in se stesso per farne dono a tutti.
A noi, ora e qui, la libertà delle donne: accogliere il Risorto.