“La lotta del Myanmar è stata fin troppo lunga e sanguinosa. Non ci sono soluzioni facili. L’odio non può essere dissipato con l’odio ma solo con l’amore; l’oscurità non è mai dissipata con l’oscurità ma solo con la luce”. È il nuovo appello di pace lanciato questa mattina via Twitter dal card. Charles Bo, arcivescovo di Yangon e presidente dei vescovi cattolici del Myanmar, mentre nel Paese non si attenuano le proteste per la democrazia e contro il colpo di Stato militare. “Ancora una volta – scrive l’arcivescovo – vi chiedo di essere pacifici e strategici per evitare lo scontro e la perdita di vite umane”.
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Purtroppo, però, anche in queste ore il Paese è nel caos. Almeno 261 persone sono state uccise dalle forze di sicurezza nel tentativo di soffocare le proteste, secondo l’Associazione di assistenza per prigionieri politici (Aapp), un gruppo di difesa che sta monitorando detenzioni e morti. Secondo quanto riportato dai media birmani, solo ieri, nei disordini, almeno otto persone sono state uccise a Mandalay, la seconda città del Myanmar, tra cui un ragazzo di 15 anni. Stanotte, le forze di sicurezza hanno anche organizzato raid in alcune parti di Yangon con colpi di arma da fuoco e alcune persone ferite, secondo quanto riportato dal servizio di stampa Mizzima. Media locali raccontano anche che la polizia e i soldati minacciano di sparare dentro le case se le persone non rimuovono le barricate sulle strade. La giunta militare giustifica il ricorso al colpo di stato dicendo che le elezioni dell’8 novembre vinte dal partito di Aung San Suu Kyi erano fraudolente, accusa che la commissione elettorale ha respinto. I leader militari hanno promesso nuove elezioni ma non hanno fissato una data e hanno dichiarato lo stato di emergenza. Unanime la condanna della comunità internazionale. Ieri, l’alto rappresentante dell’Ue, Josep Borrell ha annunciato l’intenzione di sanzionare 11 persone coinvolte nel colpo di stato in Myanmar e nella repressione dei manifestanti, tra cui anche il capo della giunta militare, il generale Min Aung Hlaing. I capi delle diplomazie dei 27 daranno il via anche ad altre misure restrittive per le violazioni dei diritti umani.
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