121 organizzazioni ecclesiali e sociali brasiliane hanno diffuso venerdì scorso una nota per denunciare quanto accaduto due giorni prima a Pacaraima, nello Stato di Roraima, al confine con il Venezuela. Forze di polizia hanno fatto irruzione, senza mandato, in due centri di accoglienza per migranti venezuelani, gestiti rispettivamente dalle Sorelle di San Giuseppe e dalla diocesi di Roraima, e dalla “chiesa dell’assemblea di Dio dell’acqua viva”. Hanno sgomberato 70 migranti in gran parte donne (21, tra cui alcune incinte) e minori (circa 40). Hanno portato con la forza i responsabili dei locali alla stazione di polizia, tra cui suor Ana Maria da Silva, nota per il suo impegno umanitario, trattenendo impropriamente i loro apparecchi telefonici. Il documento chiede di adottare misure di fronte a “ripetute e gravissime violazioni dei diritti della popolazione migrante e degli operatori umanitari”. E sottolinea che quanto viene fatto nei centri d’accoglienza non è certo un crimine, ma “un atto d’umanità”, compiuto anche e soprattutto per la latitanza del potere pubblico, che dovrebbe farsi carico di queste situazioni. I migranti, si denuncia ancora, sono stati minacciati di espulsione, sono state violate le leggi internazionali, provocando “grande paura nella popolazione di migranti e rifugiati, che, terrorizzata, finisce per non ricorrere ai servizi essenziali”.
I firmatari (tra cui figurano vari organismi che fanno diretto riferimento alla Conferenza nazionale dei vescovi del Brasile, come il Consiglio indigeno missionario, la Repam, e la Commissione Giustizia e pace) denunciano “con indignazione i ripetuti attacchi ai diritti della popolazione immigrata”, perseguitata dagli organi di sicurezza del Roraima, ricordando “che l’atto di migrare non può mai essere definito illegale, ma come diritto umano universale”. Allo stesso tempo, affermano che “anche l’assistenza sociale e umanitaria fornita agli immigrati in situazione irregolare da parte di entità della società civile non è illegale”, e questo dovrebbe portare al rispetto delle “organizzazioni della società civile e degli operatori umanitari” nelle loro attività.