Papa Francesco segue con “preoccupazione” e con “fraterna solidarietà” la situazione in Myanmar e chiede alla Chiesa del Paese di “impegnarsi nel processo di pace” e incontrare tutte le parti interessate: il generale Min Aung Hlaing, il capo delle forze armate birmane che dal 1° febbraio guida il colpo di Stato; Daw Aung San Suu Kyi, la leader della Lega nazionale per la democrazia (Lnd), il partito democraticamente eletto alle elezioni di novembre, oggi agli arresti domiciliari; i leader della società civile e religiosi, tutti coloro che partecipano alle proteste civili. È il segretario di Stato vaticano, card. Pietro Parolin a scendere in campo in queste ore, inviando una lettera al card. Charles Bo, arcivescovo di Yangon e presidente della Conferenza episcopale del Paese. È lo stesso arcivescovo di Yangon a renderlo noto in un messaggio diffuso ieri e giunto al Sir. “Il cardinale – scrive Bo – ha chiesto che la Chiesa del Myanmar trasmetta la preoccupazione e l’amore del Papa per questa nazione. Il segretario di Stato chiede inoltre che questo messaggio sia trasmesso a tutte le parti interessate e sollecita a unirci per trovare il bene più grande per tutti, soprattutto per soddisfare le speranze e garantire la dignità delle nostre giovani generazioni. La pace è possibile; la pace è l’unico modo. Il segretario di Stato, card. Pietro Parolin, chiede che l’intera comunità cattolica in Myanmar non risparmi gli sforzi in questa direzione”. Nella missiva, il segretario di Stato vaticano “incoraggia la Chiesa a impegnarsi nel processo di pace” trovando nei numerosi messaggi lanciati recentemente da Papa Francesco i principali “punti” di azione e impegno. Viene quindi espressamente ricordato l’appello lanciato all’Angelus del 7 febbraio nel quale il Papa chiese a quanti hanno responsabilità nel Paese, di mettersi “al servizio del bene comune, promuovendo la giustizia sociale e la stabilità nazionale per un’armoniosa convivenza democratica”. Il 3 marzo, l’appello si rivolse invece alla comunità internazionale, perché “si adoperi affinché le aspirazioni del popolo del Myanmar non siano soffocate dalla violenza”. Nella sua lettera, Parolin ricorda anche che durante la sua visita in Myanmar nel 2017, il Papa ha incontrato tutte le parti interessate. “Forti del mandato e dell’incoraggiamento del Vaticano – scrive quindi l’arcivescovo di Yangon – noi Chiesa cattolica ci impegniamo, insieme a tutte le persone di buona volontà, nel compito di vedere questa nazione risorgere nella reciproca comprensione e pace”. Intanto, continua a salire il bilancio delle vittime della repressione delle forze di sicurezza in Myanmar. Testimoni e media locali hanno segnalato almeno 15 persone uccise a Yangon, nell’ultima giornata di proteste contro il colpo di stato che il primo febbraio scorso ha rovesciato il governo democratico. Le parole del cardinale Charles Bo diventano quindi un’implorazione: “Esortiamo tutte le parti in Myanmar a cercare la pace”. “Questa crisi – scrive – non sarà risolta con gli spargimenti di sangue. Cerchiamo la pace! Le uccisioni devono cessare immediatamente. Tanti sono morti. Il sangue versato non è il sangue di un nemico. È il sangue delle nostre sorelle e dei nostri fratelli, dei nostri cittadini. “Basta con le uccisioni. Basta con la violenza. Si abbandoni il sentiero delle atrocità e vengano rilasciate tutti gli innocenti imprigionati”.