“Come risvegliare in noi una fede luminosa, creduta, professata e vissuta?”. A chiederselo è stato il card. Raniero Cantalamessa, predicatore della Casa Pontificia, nella terza predica di Quaresima alla Curia Romana, svoltasi in Aula Paolo VI, alla presenza di Papa Francesco. “A Gesù non interessa tanto quello che dice di lui la gente, ma quello che dicono di lui i suoi discepoli”, ha fatto notare il porporato, secondo il quale “voi chi dite che io sia” è “la domanda più risolutiva”, per rispondere alla quale occorre partire dai Vangeli. “Come basta un capello per ricostruire il Dna così basta una sola riga del Vangelo per ricostruire il Dna di Gesù, per scoprire ciò che egli pensava di se stesso”, ha assicurato Cantalamessa, ricordando che “Giovanni ha fatto della divinità di Cristo lo scopo primario del suo Vangelo”. “Conoscere Cristo significa riconoscere i suoi benefici”, ha precisato il cardinale: “Il Cristo per me diventa più importante del Cristo in sé”. “Il Cristo conosciuto dai suoi benefici è il frutto migliore dell’ecumenismo”, ha spiegato: “Noi tutti abbiamo bisogno di dare alla fede una dimensione personale, intima. Siamo tutti chiamati in causa. Passare dalle formule, alla vita. Dal pensato al vissuto”. “Nessuno parla dell’atto di credere”, la denuncia: “Questo è un atto singolare, non può essere fatto che dal singolo. Credi tu? Si, Signore io credo. Quando Gesù domanda: credete voi? Non intende la fede in Dio. Parla della fede in Lui. Dobbiamo accettare anche noi di passare attraverso questo momento di prova, di subire questo esame. La divinità di Cristo è l’Everest della fede. Credere in un Dio nato in una stalla e morto su una croce. Riscoprire le radici della fede nel cuore”. “Tutto questo è importante anche per l’ecumenismo cristiano”, la tesi del predicatore, secondo il quale “il vero ecumenismo spirituale non è solo pregare per l’unità dei cristiani, è la comunione dei santi. La fede nella divinità di Cristo è importante per l’evangelizzazione. Tolta la divinità di Cristo tutto si sfalda e crolla”.