In principio furono le catacombe dei Ss. Marcellino e Pietro; successivamente quelle di San Sebastiano, ma è tre il numero perfetto; così lo scorso 4 marzo è stato rinnovato l’accordo tra la Pontificia Commissione di archeologia sacra e la Heydar Aliyev Foundation dell’Azerbaijan per la valorizzazione e il restauro delle catacombe di Commodilla, rilevante complesso cimiteriale nel quartiere romano della Garbatella. A siglare l’intesa, all’indomani della visita alle catacombe, il card. Gianfranco Ravasi, presidente della Pontificia Commissione di archeologia sacra, e Anar Alakbarov, direttore della Fondazione azera presieduta dalla First Lady dell’Azerbaijan, Mehriban Aliyeva. Mons. Pasquale Iacobone, segretario della Pontificia Commissione, ci spiega il valore dell’intesa e ci accompagna alla scoperta di questo inedito tesoro.
Che cosa prevede l’accordo?
Da anni la Fondazione Aliyev sponsorizza i nostri interventi di restauro. Il primo ha riguardato gli affreschi delle catacombe dei Ss. Marcellino e Pietro sulla via Casilina; il secondo la collezione di sarcofagi e pezzi marmorei conservata presso il complesso monumentale di San Sebastiano fuori le mura, completato un paio di anni fa. Ora abbiamo proposto di intervenire sulle catacombe di Commodilla, situate non lontano dalla basilica di san Paolo, perché vi era una situazione di emergenza. Il cubicolo di Leone, preziosissimo per i suoi affreschi, presentava gravi problemi strutturali. Grazie ad un primo finanziamento abbiamo provveduto alla messa in sicurezza e al rinforzo strutturale della volta con l’utilizzo di materiale fibro-rinforzato in carbonio; ora bisogna intervenire sugli affreschi, non solo del cubicolo ma di tutto il complesso. Dopo un sopralluogo del direttore esecutivo della Fondazione, il nostro progetto è stato approvato e finanziato. In un paio d’anni dovremmo riuscire a realizzarlo e ad aprire le catacombe al pubblico.
Una Fondazione di un paese a maggioranza musulmana sponsorizza per la terza volta il restauro di un monumento cristiano. Qual è il significato simbolico di questo gesto?
La collaborazione con la Fondazione Aliyev è nata quasi un decennio fa. Un’istituzione che mostra grande attenzione non solo per i monumenti cristiani di Roma, ma anche per quelli della Roma pagana e, in generale contribuisce a diversi progetti di recupero e restauro di beni culturali dell’Occidente. La delegazione della Fondazione è stata accompagnata nella visita alle catacombe e nella firma dell’accordo da una delegazione interreligiosa costituita da rappresentanti della Chiesa cattolica e ortodossa, da ebrei e musulmani, a testimoniare l’apertura dell’Azerbaijan e della Fondazione a tutte le espressioni religiose e culturali, al dialogo e alla collaborazione, indipendentemente e nel rispetto delle diversità culturali e religiose.
Collaborazione culturale, dunque, come ponte per il dialogo interreligioso?
Sì. Un’operazione che va oltre la dimensione artistico-culturale per aprire anche al dialogo interreligioso.
Ritornando a queste catacombe, qual è la loro peculiarità, il loro pregio?
Anzitutto si trovano sulla via Ostiense, la via di San Paolo, ma la loro preziosità è legata in primis agli affreschi che le decorano. Il cubicolo di Leone è completamente affrescato con scene di martirio e di acclamazione a Cristo da parte dei martiri Felice e Adautto. Sulla volta, un cassettonato stellato, si trova un’immagine preziosissima: la prima – o una tra le più antiche – raffigurazione pittorica di Cristo con la barba secondo il tipo che poi verrà chiamato “bizantino” e ritroveremo nelle absidi romane e nelle icone bizantine. Una primizia iconografica unica e da preservare perché in precedenza Cristo era sempre stato raffigurato giovane, senza barba, per esprimere il Lògos eterno. La raffigurazione “adulta” e con barba è successiva e destinata ad imporsi divenendo ovunque prevalente. Nella cosiddetta basilichetta, l’ambiente cui si accede entrando nella catacomba, si trova l’affresco dei due martiri Felice e Adautto cui è dedicata. Poi c’è un altro grande affresco, più tardo, con una bellissima Madonna in trono con Bambino, i due santi, e la vedova Turtura cui era dedicato quell’ex voto, che riconosciamo grazie all’epigrafe lasciata dal figlio sotto l’immagine.
E ancora: Cristo seduto sul globo dà la legge a Pietro e Paolo. Tra i santi, la martire Merita di cui abbiamo pochissime notizie. Infine uno dei primissimi affreschi dell’evangelista Luca, raffigurato con la borsa di medico. Particolarità iconografiche che vanno dalla fine del IV fino al VII-VIII secolo. La frequentazione di questa catacomba è testimoniata anche da numerosi graffiti, alcuni dei quali in caratteri runici (scrittura utilizzata nel nord Europa a partire dal II secolo d.C., ndr) che attestano la presenza a Roma e la visita alle catacombe di pellegrini dall’Europa settentrionale. Infine l’ultimo graffito, oggetto di studio, è un primo accenno di lingua volgare italiana, un misto tra latino e volgare nell’invito al sacerdote che vi celebrava la messa a recitare la “secreta”, ossia la preghiera di consacrazione, in silenzio. Certamente una delle prime apparizioni del volgare. Vi sono inoltre gallerie anticamente murate con loculi perfettamente intatti. Tutti elementi che fanno di queste catacombe qualcosa di particolare e molto prezioso.
Luogo di preghiera e tombe dei primi martiri, le catacombe esprimono il volto della vita cristiana dei primi secoli e sono per noi una scuola di fede. Che cosa ci dicono oggi?
Aldilà del valore artistico, prima che meta di visita turistico/archeologica, le catacombe sono e dovrebbero continuare ad essere anzitutto luogo di culto, preghiera e venerazione. Questo è il principale motivo per il quale desideriamo tutelarle: rilanciarne il significato religioso e spirituale, anche in previsione del giubileo 2025 in vista del quale abbiamo un rapporto di stretta collaborazione con l’Opera romana pellegrinaggi per rivalorizzarle come tappa per i pellegrini. Ci riportano alle radici della fede attraverso la testimonianza della primissima comunità cristiana che esprime il proprio credo in Cristo, nella vita eterna, nell’intercessione di Maria e dei santi.
Una parola di speranza che è importante recuperare, soprattutto in momenti difficili come quelli che stiamo vivendo.
Come è stata accolta nel quartiere la notizia dei restauri e quindi di una non lontana apertura al pubblico?
Con grande entusiasmo. La delegazione di assessori e consiglieri del Municipio Roma VIII guidata dal presidente Amedeo Ciaccheri, presente alla visita e per la prima volta scesa in una catacomba, è rimasta impressionata dalla sua bellezza e si è detta felice che il quartiere possa arricchirsi di questo gioiello.
In che modo il restauro di questo monumento può impreziosire un quartiere come la Garbatella?
Si tratta di un quartiere molto dinamico che l’anno scorso ha festeggiato 100 anni. La frequentazione e l’apertura – magari parziale, non tutti i giorni – delle catacombe con un flusso di pellegrini e di turisti costituisce certamente un plusvalore per il territorio. Vorremmo sollecitare i suoi abitanti – a partire da scuole e associazioni che sono molto vivaci -, a conoscere ed apprezzare il loro “sottoterra”, cosa finora purtroppo impossibile.
Riappropriarsi delle proprie radici culturali e spirituali che valore educativo ha per una comunità?
Ritrovare l’identità di un territorio attraverso le proprie radici cristiane, artistiche e culturali può costituire un elemento di grande coesione sociale. Credo possa essere anche un’iniezione di sano orgoglio, in grado di suscitare il desiderio di emulare quella profondità, spiritualità e bellezza.