Coronavirus Covid-19: Vaticano, nessuna “forma repressiva” sui lavoratori in caso di rifiuto del vaccino

Foto Calvarese/SIR

“L’adesione volontaria ad un programma di vaccinazione deve tener conto del rischio che un eventuale rifiuto dell’interessato possa costituire un rischio per se, per gli altri e per l’ambiente lavorativo”. È quanto precisa, in una nota, la Pontificia Commissione per lo Stato della Città del Vaticano, in relazione al decreto dell’8 febbraio scorso, emanato dal presidente, il card. Giuseppe Bertello, in cui viene trattato anche il caso del rifiuto dei vaccini da parte di un dipendente vaticano e delle sue conseguenze. “Per tale motivo – si spiega nella nota – la salvaguardia della comunità può prevedere, per colui che rifiuti la vaccinazione in assenza di motivi sanitari, l’adozione di misure che da una parte minimizzino il pericolo in questione e dall’altra consentano di trovare comunque soluzioni alternative per lo svolgimento del lavoro da parte dell’interessato”. Il decreto in questione, in materia di emergenza sanitaria, è stato emanato “per dare una risposta normativa urgente alla primaria esigenza di salvaguardare e garantire la salute ed il benessere della comunità di lavoro, dei cittadini e dei residenti nello Stato della Città del Vaticano”, precisa la Commissione. Il presupposto, quindi, è quello “della tutela individuale del lavoratore e quella collettiva dell’ambiente lavorativo in caso di un evento che possa configurarsi come emergenza sanitaria pubblica”, come nel caso della pandemia da Covid-19. In particolare, “la disposizione riguarda tutte le misure idonee dirette a  prevenire, controllare e contrastare situazioni eccezionali di emergenza sanitaria pubblica e vengono diffusamente indicati tutti gli strumenti per una adeguata e proporzionale risposta al rischio sanitario”. Tra queste misure, su indicazione dell’Autorità sanitaria dello Stato, “può essere ritenuto necessario il ricorso alla vaccinazione per determinati contesti: in attività lavorative inerenti il pubblico servizio, i rapporti con terzi o rischiose per la sicurezza della comunità di lavoro”. “Il richiamo alle preesistenti Norme per la tutela della dignità della persona e dei suoi diritti fondamentali da osservarsi negli accertamenti sanitari in vista dell’assunzione del personale e durante il rapporto di lavoro e Norme a tutela dei dipendenti affetti da particolari gravi patologie o in particolari condizioni psicofisiche del 18 novembre 2011 – si precisa nella nota – deve quindi ritenersi come uno strumento che in nessun caso ha natura sanzionatoria o punitiva, piuttosto destinato a consentire una risposta flessibile e proporzionata al bilanciamento tra la tutela sanitaria della collettività e la libertà di scelta individuale senza porre in essere alcuna forma repressiva nei confronti del lavoratore”.

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