Il viaggio di Papa Francesco in Iraq “realizza un sogno lungo oltre 20 anni, quello di san Giovanni Paolo II, che ha sempre desiderato farsi pellegrino a Ur, nella casa di Abramo”. Un sogno che si realizza “nonostante la pandemia”. Così mons. Yousif Thomas Mirkis, arcivescovo dell’archeparchia caldea di Kirkuk-Sulaimaniya (Nord Iraq) saluta la venuta del Pontefice in Iraq (5-8 marzo), in una lunga lettera di benvenuto diffusa dal Patriarcato caldeo di Baghdad. “Benvenuto nella sofferenza della Chiesa irachena, che ha perso due terzi della sua popolazione a causa dell’emigrazione. Vieni per esortarci a promuovere la giustizia e a difendere i poveri contro discriminazione e disuguaglianza sociale ed economica”. Nella lettera mons. Mirkis saluta il Pontefice come colui che “sta cercando di riformare la Chiesa” sbarazzandosi di “palazzi, oro, scarpe rosse e di titoli reali. Benvenuto, Francesco, nella Chiesa che ha bisogno di forme di vocazioni, sacerdoti sposati e non, monaci e monache che servano all’altare e, perché no, donne diacono che hanno una chiamata al servizio e ai sacramenti! Benvenuto in un popolo sofferente. Non abbiamo bisogno di ‘fatwa’, ma piuttosto della misericordia del Signore”. “Benvenuto, Francesco, – conclude l’arcivescovo – abbiamo un disperato bisogno delle tue parole che ci ricordano un’altra globalizzazione quella della tolleranza, dell’amore per i poveri, della misericordia, della gioia, del servizio, della giustizia basata sul rispetto delle differenze religiose, sul rafforzamento del rapporto tra le religioni e sulla denuncia delle forme di chiusura mentale nazionale, settaria e religiosa che hanno causato la nostra miseria e offeso tutti”.