“La comunità ecclesiale di Canicattì è chiamata per prima a essere testimone del futuro beato nella vita della Chiesa e nella società civile. Mentre il giudice Livatino è un beato con la palma del martirio”, vittima della mafia, “tutti noi, rimasti in vita, siamo chiamati a rendere pubblica ed evidente la testimonianza evangelica”. Lo scrive in una lettera la comunità di Canicattì sulla prossima beatificazione di Rosario Livatino. “La nostra comunità, nel vantarsi di essere la culla delle fede di Rosario Livatino, deve assumere il ‘dolce peso’ di essere martyrium, segno della vita e del sacrificio del beato magistrato. La regola laicale del giudice Livatino deve essere la scelta quotidiana di ognuno, di una radicale sequela di Cristo”.
L’impegno espresso dalle comunità parrocchiali del luogo natale di Livatino è quello di essere “testimoni chiamate a dare ragione della speranza e della carità”. “Oggi più che mai, come credenti, siamo chiamati a dare sempre di più un carattere pubblico e testimoniale alla nostra esperienza di fede: nel senso che l’esperienza di fede non può essere relegata nel privato, come un accadimento personale ed intimistico”. Infine, l’idea e il proposito di “potere invocare Livatino come co-protettore della città”.