“La cultura tecnicista, che pone al centro del pensiero e della vita l’efficacia immediata, ci porta spesso ad abbandonare gli anziani, a considerarli meno produttivi”. A lanciare il grido d’allarme è stato mons. Bruno-Marie Duffè, segretario del Dicastero per il Servizio dello Sviluppo umano integrale, presentando in diretta streaming dalla sala stampa vaticana il documento “La vecchiaia: il nostro futuro. La condizione degli anziani dopo la pandemia”, diffuso oggi. “Ci sono aziende industriali nelle quali a cinquant’anni si è considerati anziani e, talvolta, si è perfino licenziati, a beneficio di persone più giovani”, ha fatto notare il relatore, secondo il quale nella cultura individualista “non c’è bisogno degli altri: non c’è bisogno degli anziani, non c’è bisogno di chi va più piano”. Così gli anziani “non sono più considerati una priorità nella nostra società” e, nel contesto dell’attuale epidemia, “sono presi in carico dopo gli altri, dopo le persone ‘produttive’, anche se sono più fragili”. “L’ordine di accesso alle cure di emergenza ha dimostrato, più di una volta, che non hanno potuto beneficiare delle terapie di supporto vitale”, ha fatto notare Duffé, che ha denunciato anche “la rottura del legame tra le generazioni: bambini e giovani non possono più incontrare gli anziani, tenuti in stretto confinamento. Questo a volte porta a veri e propri disturbi psichici in alcuni bambini o giovani che hanno bisogno di stare con i loro nonni, così come i nonni hanno bisogno di stare con i loro nipoti, altrimenti moriranno di un altro virus: il dolore”. Al contrario, come ripete il Papa, il dialogo intergenerazionale va promosso, anche se a volte è “un dialogo che può essere fatto di parole o di silenzio, del disegno offerto da un bambino, che ancora fa sognare l’anziano, o dalla tenerezza dei loro sguardi, che si incrociano e si incoraggiano a vicenda”.