“Per troppi anni ho praticato aborti; ora mi batto per difendere la vita nascente e ad oggi posso dire che sono più numerosi i bambini che ho salvato di quelli che ho ucciso”. Antonio Oriente, ginecologo di origini calabresi che ha prestato servizio in ospedale a Palermo e a Messina, si presenta così al Sir. “Oggi – ci racconta -, a 67 anni, sono ufficialmente in pensione ma nella pratica lavoro come libero professionista e faccio attività di volontariato a favore della vita e delle famiglie”. Oriente ripercorre gli anni nei quali a Palermo, insieme al professor Ettore Cittadini, oltre alla normale routine professionale assisteva coppie con problemi di infertilità: “Dall’inizio della mia professione negli anni Ottanta, ho aiutato diverse coppie ad avere figli con la fecondazione artificiale, ho assistito mamme e neonati durante il parto, ma ho anche praticato migliaia di aborti come se si trattasse di un atto chirurgico qualsiasi, senza rendermi conto del male che facevo. Poi un giorno il Signore mi ha aperto gli occhi”.
Nel frattempo incontra la donna che diventerà sua moglie: una pediatra che ama moltissimo i bambini. Eppure, nonostante diversi tentativi, i figli tanto desiderati non arrivano; lei si sente infelice e piange tutti i giorni, il marito soffre nel vederla così e nell’avvertire, lui medico esperto di infertilità, la propria impotenza. L’ospedale in cui lavora è a 50 km da casa e spesso Oriente resta lì per lavoro anche due o tre giorni. “Una sera, nei primi mesi del 1986 – racconta –, dopo la fine del mio turno non me la sono sentita di tornare a casa. Mi sono chiuso nel mio studio e, seduto alla scrivania, con la testa fra le mani mi sono messo a piangere”. Sono circa le 22 quando una coppia che lui segue per problemi di infertilità, vedendo dalla strada le luci accese si preoccupa e bussa. “Con loro ho trovato il coraggio di confidarmi”. Dopo averlo ascoltato, i due pazienti lo invitano ad andare ad un incontro di preghiera del Rinnovamento nello Spirito Santo del quale fanno parte ma al quale, ammette, “non avevo alcuna intenzione di andare”. Ma c’è un ma… “Dopo due settimane, più triste che mai, una sera vagavo in macchina per il paese e passando di fronte a un fabbricato che non sapevo fosse una chiesa, ho sentito della musica e ho pensato fosse una discoteca”. Oriente decide di entrare: “Sì, era una discoteca, ma la discoteca del Signore dove Lui mi stava aspettando. All’inizio mi sono chiesto: chi sono questi matti, ma poi qualcosa mi attirava e ho continuato ad andare per qualche tempo ai loro incontri di preghiera”.
E intanto si fa strada nella sua coscienza una domanda: “Antonio, cosa stai facendo?”. Una voce sempre più insistente tanto che un giorno, davanti al Crocifisso, il medico si interroga: “Con quale coraggio posso chiedere al Padre il dono di un figlio mentre uccido i figli degli altri?”. Di qui la decisione che rivoluziona la sua esistenza:
“Mai più aborti”.
In consultorio Oriente inizia a incoraggiare le ragazze e le donne di tenere il proprio bambino e ad aiutarle anche economicamente per farlo. Una sera, tornando a casa, trova la moglie che sta vomitando. All’inizio pensa ad una indigestione, ma poiché il sintomo prosegue anche nei giorni successivi, la invita a sottoporti all’ennesimo test di gravidanza che lei rifiuta per evitare l’ennesima delusione. Dopo un mese la costringe a fare un esame del sangue che rivela la gravidanza. Nascerà Domenico, e l’anno successivo Luigi.
Ma per tagliare definitivamente con un passato che non gli appartiene più, Oriente sente di dover compiere ancora due passi: ottenere il perdono di Dio, e liberarsi degli strumenti chirurgici usati per gli aborti, che decide di consegnare al Papa. Indimenticabile il suo incontro a Palermo con padre Matteo La Grua, scomparso nel 2012, esorcista di fama internazionale e importante figura del Rinnovamento nello spirito: “Prima che io iniziassi a parlare, mi ha letto nell’anima e mi ha detto: ‘Antonio, tutti quei bambini che hai ucciso, li vedo chiaramente, stanno pregando per te perché tu porti avanti la missione a favore della vita che aiuterà tanti altri bambini a vedere la luce. Va’ in pace: il Signore ti ha già perdonato”.
La consegna di ciò che chiama “i suoi ferri di morte” al Papa avviene l’anno successivo, ha un che di rocambolesco ed è frutto di un concatenarsi di coincidenze provvidenziali. Non essendo riuscito a realizzare il proposito né con Giovanni Paolo II né con Benedetto XVI, nel settembre 2013 si presenta per lui, allora vicepresidente nazionale dell’Associazione dei ginecologi e ostetrici cattolici italiani, un’opportunità attraverso un’udienza di Francesco con i medici cattolici del Nord America, ma l’impossibilità di ottenere un pass per poter salutare il Papa di persona lo convince a desistere. La notte prima della partenza, ormai annullata, accade però qualcosa di strano: all’una “una voce interna” lo spinge ad alzarsi, a raggiungere il suo studio al consultorio e a guardare sotto l’imbottitura di una poltrona dove trova un’immaginetta di una Madonna a lui allora sconosciuta, che in seguito scoprirà essere la Madonna di Lujàn, protettrice dell’Argentina, e sente la stessa voce di prima, ma più imperiosa, dirgli:
“Va’ a Roma, sono io il tuo pass”.
Arrivato finalmente in Sala Clementina, ma seduto in quarta fila, viene a sapere che solo gli occupanti delle prime due file avrebbero potuto avvicinare il Papa. Scoraggiato, si rivolge di nuovo all’immaginetta orientandola verso il Pontefice, che lo fa chiamare tramite mons. Gänswein. “Io divento tutto rosso, mi avvicino – il racconto di Oriente – e il Santo Padre mi impone le mani, prega su di me e mi dice:‘Tu hai sofferto tanto, ti aspettavo, mi devi dare qualcosa”. Prende la valigetta con i ferri e aggiunge: ‘D’ora oggi in poi andrai in giro a parlare della vita, del Dio della vita presso i giovani e le famiglie’. Di fatto mi ha affidato un mandato di ‘evangelizzatore pro-vita’ che mi impegno a svolgere ogni giorno”.