Iraq: polemiche su chiusura campi profughi. La ministra cristiana Evan Jabro risponde

In Iraq il programma di chiusura dei campi profughi e il ritorno degli sfollati interni alle rispettive aree di provenienza procede a ritmi intensi, ma ai risultati positivi già pubblicizzati dalle autorità politiche irachene fanno da contrappeso critiche e polemiche di diversa provenienza. A guidare il piano di chiusura dei campi di accoglienza profughi è la cristiana caldea Evan Faeq Yakoub Jabro, attuale ministra irachena per l’immigrazione e i rifugiati. In una recente intervista ad Al-Monitor, ripresa da Fides, Evan Jabro ha riferito che, “su 76 campi di sfollati prima della formazione dell’attuale governo, solo 29 campi sono ancora aperti”, confermando che le autorità governative irachene puntano a completare la chiusura di tali strutture entro la fine dell’anno. Negli ultimi mesi, secondo le fonti ufficiali del governo, almeno 66mila sfollati interni iracheni avrebbero fatto ritorno alle proprie case. Ai numeri e ai risultati positivi vantati dal governo, fanno da contraltare le polemiche concentrate soprattutto sui metodi utilizzati per chiudere i campi e spingere i loro “ospiti” a far ritorno alle terre da cui erano fuggiti. La ministra Jabro, in interviste e dichiarazioni ufficiali, continua a ripetere che ogni ricollocamento dei rifugiati nelle proprie aree di provenienza avviene in maniera concordata con le autorità locali e sempre su base volontaria, potenziando anche l’assistenza e le misure di protezione sanitaria per chi rimane nei campi profughi. Nel contempo, gruppi di rifugiati e volontari coinvolti nella loro assistenza segnalano casi – come quello del campo di Habbaniyah, nella Provincia di Niniveh – dove la chiusura della struttura ha lasciato centinaia di famiglie senza dimora e senza la possibilità concreta di trovare sistemazioni alternative. A novembre, il piano esposto dal governo di Baghdad prevedeva di completare la chiusura di tutti i campi profughi disseminati sul territorio nazionale entro marzo 2020.Ma la realizzazione del piano si è rivelata tutt’altro che agevole e i tempi si sono allungati. Molti dei campi accolgono sfollati interni fuggiti dalle regioni nord-irachene che nel 2014 erano cadute sotto il dominio jihadista dell’auto-proclamato Stato Islamico (Daesh). La volontà governativa di chiudere i campi risponde a esigenze economiche, sanitarie – legate alla pandemia da Covid-19 – e di ordine pubblico; le difficoltà nella realizzazione del piano sono dovute in alcuni casi anche alle resistenze di molti profughi che non intendono fare ritorno alle rispettive aree di provenienza, dove la perdurante insicurezza e la mancanza di lavoro rendono difficile immaginare un futuro sereno per le proprie famiglie.

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