No ad algoritmi o ad altri parametri. Anche in emergenza sanitaria vale un principio aureo: la proporzionalità del trattamento per la persona. A ribadirlo al Sir è Antonio Gioacchino Spagnolo, ordinario di Bioetica e coordinatore della sezione dipartimentale di Bioetica e Medical Humanities dell’Università Cattolica del S. Cuore di Roma e direttore della rivista internazionale di bioetica ‘Medicina e morale’. La bozza del piano pandemico 2021-23, scivolato fuori dalla direzione generale della prevenzione sanitaria del ministero della Salute, ha sollevato polemiche nella parte in cui richiama a una situazione di scarsità di risorse. Il documento infatti lascia pensare che occorra privilegiare i pazienti che possono trarre maggiore beneficio.
In sostanza, se c’è un solo respiratore a disposizione, meglio usarlo con il soggetto con un quadro clinico migliore?
Dire che un paziente può beneficiare di più di un altro può sembrare una prospettiva squilibrata a favore dei giovani ma non è proprio così perché, caso per caso, vengono valutate le comorbidità. In questo modo si ribadisce il concetto della adeguatezza terapeutica per evitare un eventuale accanimento. Il concetto che deve rimanere è quello della proporzionalità. Il medico non dovrebbe avere altro criterio se non il beneficio del paziente in modo proporzionato ed evitare gravosità. Tutto ciò indipendentemente dal fatto che ci sia un’altra persona che può beneficiare dalla sospensione del trattamento. L’età non è un criterio decisionale. Il medico valuta caso per caso se il soggetto può beneficiare dell’intervento. Oggi il medico di fatto sceglie il paziente, mentre in passato era il contrario. La situazione emergenziale non deve far venir meno il principio fondamentale che il medico deve dare tutto quello che è possibile per il paziente, non deve essere direzionato da algoritmi o da altri parametri come l’età.
Altro tema caldo è l’eventuale obbligatorietà della vaccinazione anti-covid.
Non è facile dire se il vaccino debba essere obbligatorio per legge. Bisognerebbe prima trovare modalità per rendere consapevoli le persone. Andrebbe mantenuto fermo il punto che oltre alle ragioni personali esistono quelle sociali: il valore della solidarietà è importante come quello della libertà individuale. Spesso si richiama il diritto sancito dall’articolo 32 della Costituzione per il quale nessuna persona può essere sottoposta a un trattamento sanitario contro la sua volontà. Il principio però va calibrato con quello di giustizia e solidarietà, dato che più aumenta la popolazione vaccinata, più si tutelano le persone che per ragioni mediche non possono vaccinarsi.
Per alcune categorie in particolare, come gli operatori sanitari, si potrebbe pensare a una sorta di idoneità?
Se il sanitario non si vaccina, si potrebbe segnalare l’incompatibilità con l’attività professionale a contatto con i pazienti. Quando ci fu l’esplosione della diffusione dell’Hiv si stabilì che la sieropositività poteva costituire un elemento di idoneità a svolgere determinati atti sanitari. Ricordo un caso giudiziario in cui un’infermiera, nota per essere a rischio, rifiutò di sottoporsi al test e perciò fu allontanata. Si possono quindi creare delle procedure che non obbligano, ma evitano a chi non si vaccina di poter mettere a rischio la vita degli altri.
E sulla scala di priorità, chi bisogna vaccinare per primo? Dopo anziani e sanitari chi ha la precedenza?
Dovrebbero essere i docenti per la stessa ragione dei sanitari: evitare la diffusione.
Nelle ultime settimane è avanzata l’ipotesi di vaccinare per primi i giovani per varie ragioni. La prima: limitare così il contagio fra nipote e nonno.
In realtà non è ancora chiaro. Il vaccino è stato messo a punto in un tempo inferiore ad altri e ci sono cose ancora ignote. Non sappiamo, per esempio, se un vaccinato possa infettare qualcun altro. Di qui non è certo che vaccinare prima i giovani preservi gli anziani.
Non sta in piedi nemmeno la spiegazione più utilitaristica che vorrebbe vaccinare prima la fascia di popolazione attiva in ambito lavorativo per preservare l’economia del Paese.
Se si infettano gli anziani sappiamo che essi costituiscono un aggravio sulle terapie intensive e quindi un costo ben maggiore della diffusione fra le persone più giovani. Il criterio dovrebbe comunque essere clinico, ovvero la possibilità di beneficiare dal vaccino piuttosto che avere un risparmio economico. Questa prospettiva utilitaristica perciò non si sposa con il principio del rispetto della persona.
Infine, sulla polemica aizzata da alcuni riguardo alle cellule fetali derivate da un aborto praticato decenni fa e usate per la sperimentazione dei vaccini anti-covid, Spagnolo osserva: “Da parte del magistero della Chiesa sono già stati dati chiarimenti in passato in occasione della vaccinazione contro morbillo, rosolia e parotite. Diversi studi, quello della Pontificia accademia della vita, della Dignitas personae e ultimamente della Dottrina della fede, danno giustificazioni convincenti perché ricordano che si tratta di una azione avvenuta in passato quindi non ci devono essere timori di incentivazione a perpetuare quell’azione”.
E conclude: “Se ci fossero alternative sarebbe opportuno usarle. Ma per poter dimostrarle occorrerebbe comunque confrontarle con quelle attuali. Il tema alcune volte è strumentalizzato per andare contro i vaccini spostando il discorso sul piano morale ed etico. Ma va ribadito che di per sé non è un incentivo all’aborto”.