Con 321 Sì contro 259 No (27 gli astenuti) il governo ha ottenuto la fiducia alla Camera, superando anche la soglia della maggioranza assoluta. Si conclude così il primo tempo della crisi politica che avrà domani in Senato il suo snodo cruciale. Il voto dei deputati è arrivato al termine di una lunga giornata parlamentare che si era aperta a Montecitorio con l’intervento del presidente del Consiglio, Giuseppe Conte. Il premier ha parlato di una crisi priva di un “fondamento plausibile”, di un “grave gesto di irresponsabilità” che ha provocato un “profondo sgomento” nel Paese e ha messo in allarme anche le “cancellerie straniere” e l’opinione pubblica internazionale. “Non si può cancellare quello che è accaduto”, ha sottolineato Conte, e ora bisogna “voltare pagina”. Una chiusura senza ripensamenti nei confronti di Italia Viva (nel discorso Renzi non viene mai nominato personalmente) e un’apertura verso “quelle formazioni che si collocano nella più alta tradizione europeista: liberale, popolare, socialista”. Peraltro la discriminante europeista è stata ricordata dal premier anche come uno dei pilastri fondativi dell’attuale governo.
Un modo per marcare un confine netto a destra nei confronti dei cosiddetti partiti sovranisti, vale a dire Lega e FdI, anche se non è un mancato un riconoscimento a tutte le opposizioni che “pur nella dialettica della politica, hanno contribuito ad affrontare passaggi critici”. Un riferimento al voto unitario sulle ripetute richieste di scostamento si bilancio per finanziarie le misure anti-pandemia, nell’imminenza di un nuovo passaggio di questo tipo.
Il presidente del Consiglio ha rivendicato “a testa alta” il modo in cui il governo ha gestito la fase che si è aperta con la pandemia, ma “non con l’arroganza di chi ritiene di non aver commesso errori”, quanto con “la consapevolezza di aver operato con tutte le energie per la comunità nazionale”, dovendo prendere decisioni inedite e talvolta drammatiche, sempre “con il massimo scrupolo e attenzione per i delicati bilanciamenti costituzionali”. Si è poi soffermato lungamente sugli interventi in materia sanitaria ed economico-sociale, sia quelli già messi in campo, sia quelli che saranno attivi da quest’anno, e ha richiamato l’impegno strategico per il Recovery Plan italiano, la cui bozza è stata presentata alle Camere e sarà oggetto di confronto con le parti sociali.
Le sfide epocali che il Paese ha davanti richiedono “la massima coesione possibile, il più ampio consenso in Parlamento”, ha affermato il premier. E per questo ha lanciato un un appello alle “forze parlamentari volenterose” per “un governo aperto a tutti quelli che hanno a cuore il destino dell’Italia”, a partire dall’alleanza tra M5S, Pd e Leu che resta la “solida base” dell’esecutivo. Alle forze di maggioranza Conte ha assicurato che nei prossimi giorni si metterà mano a “un patto di fine legislatura” e si provvederà anche a “rafforzare la squadra”, quindi a introdurre cambiamenti nella compagine di governo. Tra l’altro ci sono da sostituire i ministri di Italia Viva che si sono dimessi. Il premier ha anticipato che terrà l’interim del ministero dell’Agricoltura solo per il tempo strettamente necessario e designerà, secondo quanto consentito dalla legge, un’“autorità delegata” di sua fiducia per la gestione quotidiana dei servizi di intelligence. Un punto, quest’ultimo, che era stato tra le principali richieste di Renzi (e non solo).
Conte ha anche rilanciato il tema della riforma elettorale in senso proporzionale per bilanciare gli effetti della riduzione del numero dei parlamentari. Un tema che interessa da vicino le formazioni minori centriste e in parte la stessa Forza Italia.
Nel dibattito che è seguito all’intervento del presidente del Consiglio si sono fatte sentire anche le opposizioni. La leader di FdI, Giorgia Meloni, si è scagliata in particolare contro il tentativo di acquisire nuovi sostegni parlamentari al governo che ha definito un “mercimonio” di cui vergognarsi.
Domattina Conte parlerà a Palazzo Madama dove i numeri delle forze che sostengono attualmente il governo hanno margini molto più ridotti che alla Camera. Per la fiducia, comunque, non è richiesta la maggioranza assoluta, è sufficiente che i Sì siano più di No. Resta da vedere a quale quota si assesteranno i consensi all’esecutivo senza i senatori di Italia Viva e se ci saranno altri apporti dopo l’appello del premier.