In Bosnia-Erzegovina un migliaio di giovani migranti da Siria, Iraq, Iran, Afghanistan, Pakistan, Bangladesh e dai Paesi del Maghreb e dell’Africa sub-sahariana, che tentano di arrivare in Europa tramite la rotta balcanica, sono costretti a stare all’addiaccio e senza aiuti mentre il governo sta allestendo un campo di tende isolato, in montagna, senza riscaldamento, acqua, energia elettrica. Alla decisione si sono opposte tutte le organizzazioni umanitarie che lavorano in zona. “È una follia, sono trattati peggio delle bestie al confine con l’Europa, con le temperature che toccano i 10 gradi sotto lo zero”, denuncia al Sir da Sarajevo Daniele Bombardi, coordinatore di Caritas italiana nei Balcani. Nei giorni scorsi Caritas italiana ha lanciato l’allarme sulla “catastrofe umanitaria” in corso in quelle zone, chiedendo l’intervento dell’Unione europea e dei governi. In Bosnia, secondo le stime dell’Organizzazione internazionale delle migrazioni, vi sono 8.000 persone migranti, di cui 5.000 nei campi (i più vulnerabili) e 3.000 in sistemazioni di fortuna. La metà sono famiglie con bambini. Nelle condizioni peggiori sono gli uomini nei pressi di Bihac. Qui il governo, tramite l’esercito, sta allestendo tende nel campo di Lipa, in un posto impervio e pericoloso in montagna, lontano dagli occhi delle popolazioni locali, che hanno inscenato feroci proteste contro i migranti. A Lipa “rischiano di morire di freddo – denuncia Bombardi -. Non c’è acqua potabile, riscaldamento, energia elettrica. Non ci sono gli standard minimi per il rispetto della dignità e dei diritti umani. È una decisione folle che condanniamo”. La Caritas fa arrivare a Lipa tramite la Croce rossa quello che può: cibo, acqua e legna per accendere i fuochi. Le Ong per protesta si rifiutano di lavorare nel campo e chiedono che sia trovata una alternativa: ad esempio a Bira, una ex fabbrica abbandonata alla periferia di Bihac, ad una trentina di chilometri. “Sarebbe la soluzione migliore per aiutare le persone almeno a passare l’inverno – dice l’operatore Caritas – ma la popolazione è contraria. Oramai si è arrivati ad un muro contro muro”. Senza una mediazione si rischia l’impasse. “Non sappiamo cosa accade nei boschi alla frontiera, se ci sono persone che muoiono – afferma Bombardi -. Ma la tragedia è dietro l’angolo”.