Per papa Francesco “il cammino della sinodalità è il cammino che Dio si aspetta dalla Chiesa del terzo millennio”, ma sembra che il concetto di “sinodalità” debba ancora essere ben compreso e quindi assimilato, soprattutto nella prassi pastorale. Parte da queste premesse l’analisi del card. Michael Czerny, sottosegretario della Sezione migranti e rifugiati del Dicastero per il Servizio dello sviluppo umano integrale, ospitata nel quaderno 4.093 de La Civiltà Cattolica, il primo del nuovo anno, in uscita sabato 2 gennaio 2021, come di consueto anticipato al Sir.
Nella premessa Czerny chiarisce che “quando si applica il termine ‘sinodalità’ alla Chiesa, non si intende designare un mero processo decisionale” ma “si esplicita un tratto fondamentale dell’identità ecclesiale: la sua dimensione comunionale, la sua essenziale missione evangelizzatrice, posta sotto la guida dello Spirito Santo”.
Di qui il richiamo all’ecclesiologia di comunione esposta nella Lumen gentium, “premessa teologica fondamentale”. In particolare, la dottrina del “sacerdozio comune dei fedeli”, che tra le altre cose permette di inquadrare il senso della distinzione tra il concetto di “sinodalità” (più ampio) e quello di “collegialità” dei vescovi cum et sub Petro. Poiché la collegialità è al servizio della sinodalità, annota il gesuita, il Papa afferma che “il Sinodo dei vescovi deve sempre più diventare uno strumento privilegiato di ascolto del Popolo di Dio”. In questa prospettiva va letta l’opzione preferenziale per i poveri: non destinatari privilegiati dell’evangelizzazione, ma “soggetti, suoi agenti attivi”. Per far crescere la sinodalità nella Chiesa, avverte ancora Czerny, “occorre avviare processi di conversione, cioè di ‘discernimento, purificazione e riforma'” come afferma il Papa in Evangelii gaudium, “affinché tutti possano acquisire e interiorizzare i princìpi di una spiritualità che sia aperta alla comunione ‘inclusiva’, piuttosto che di una spiritualità che si limiti a ricercare la perfezione individuale”.