“Ah, meno male che quest’anno sta per finire!”. “Dai, chiudiamolo in fretta ‘sto 2020…” e altre espressioni di questo tenore stanno circolando da vari giorni, sui binari della chiacchiera e del senso comune. Noi Cristiani però non possiamo adottare questo sguardo, né questo linguaggio. Se Dio esiste, ed è il Signore della storia, non possiamo liquidare il 2020 come un anno da dimenticare, perché anche in questo 2020 il Signore c’è stato, anche in questo anno ci ha accompagnato e ci ha elargito le sue grazie.
Chi abbia un approccio spirituale e profetico sull’esistenza ha il dovere di fare, alla fine di quest’anno, il bilancio dei doni ricevuti, esattamente come dovrebbe farlo alla fine di ogni anno, così da salvare nella memoria, cioè nel cuore, i segni che ha saputo riconoscere dell’amore di Dio nel tempo.
Una lettura banale, cinica, pessimistica degli eventi, un’interpretazione unilateralmente negativa di quanto accade, non prepara a giorni migliori. Pensiamoci bene: il continuo diffondersi e ridiffondersi della pandemia, non è forse dovuto a gente in perenne evasione e consumo, cioè a gente che non vuole fermarsi a riflettere per imparare?
In effetti, nell’umanità possiamo ravvedere due possibilità.
Da un lato, è insita in essa una stoltezza pagana che la rende cieca dinanzi al perché delle crisi: “Gli uomini si mordevano la lingua per il dolore e bestemmiarono il Dio del cielo a causa dei loro dolori e delle loro piaghe, invece di pentirsi delle loro azioni”. (Ap 16, 10b-11). L’incapacità di fare tesoro dei momenti difficili, di ravvedersi, di imparare anche dal dolore… tutto questo trasforma la storia in un tragico cerchio per cui nessuno impara da quanto è successo, e la vita delle generazioni non è che la reiterazione degli errori di chi c’è stato prima.
Ma in noi uomini non c’è soltanto questo: non siamo abbandonati semplicemente alla nostra animalità. Lo Spirito opera nei cuori, e un fermento di cambiamento per il meglio alberga soprattutto nelle nuove generazioni.
Allora, forse, impareremo a ringraziare per questo 2020. Ci vorrà tempo… le ferite dovranno rimarginarsi, dovremo ricostruire, ripensare, cambiare. Forse ce ne vorrà molto, di tempo. Ma se riusciremo ad apportare mutamenti sostanziali della società, nei consumi, nelle relazioni, il merito andrà ascritto a quanto abbiamo patito in quest’anno – sempre che accettiamo, per il momento, di custodirne in noi la memoria resa grata da uno sguardo pasquale.