La decisione della Corte costituzionale austriaca di depenalizzare l’assistenza al suicidio ha scatenato aspre critiche nel mondo cattolico. Sarebbe “incostituzionale” – così la Corte, venerdì 11 dicembre – vietare ogni forma di assistenza al suicidio, perché violerebbe il diritto all’autodeterminazione. L’eutanasia resta esclusa, ma a partire dal 1° gennaio 2022, il suicidio assistito sarà possibile a precise condizioni. Per il vescovo di Feldkirchen, Benno Elbs, la sentenza è “uno schiaffo in faccia all’umanità” e “solleva più domande che risposte”. “Proteggiamo il diritto alla vita e con esso i deboli e i malati tra noi oppure mettiamo i paraocchi con il pretesto dell’autodeterminazione, e facciamo della morte e della malattia un tabù sociale?”. Mons. Josef Marketz (Carinzia) chiede di “fare di tutto per garantire che il minor numero di persone possibile esprima il desiderio di un suicidio assistito, soprattutto perché un tale desiderio è spesso un grido segreto di aiuto, affetto, vicinanza e compassione”. Non è l’aiuto a morire che serve, ma l’accompagnamento a chi muore. In un articolo apparso ieri sul Kronenzeitung, il cardinale di Vienna Christoph Schönborn, prospetta che “ci sarà una pressione sempre maggiore su persone ammalate, stanche e sofferenti al punto che si percepiranno come un ostacolo per gli altri” e vedranno una via d’uscita nel suicidio. La richiesta dei vescovi al Parlamento è di lavorare ora per contrastare la sentenza e per ampliare la disponibilità di strutture palliative e per anziani.
Commentando la sentenza per l’agenzia Kathpress, il teologo Paul Zuhlener ha affermato che “occorre prima chiarire cosa si intenda per ‘morte dignitosa’ in una cultura della solidarietà e ‘dolore insopportabile’ in un’epoca di medicina superspecializzata”. E mette in guardia dal rischio che “interessi secondari, come l’onere delle cure o i costi di un morire spesso lento” non si infiltrino nell’argomento della autodeterminazione.