“Non ero preparato ad affrontare un tempo speciale come questo, inatteso e imprevisto, e mi sono trovato come catapultato, da un giorno all’altro, in una situazione nuova, fatta di solitudine, di lunghi silenzi, di riflessioni articolate, di tempi prolungati di ascolto della Parola di Dio e di preghiera. E anche di un po’ di sofferenza (l’aiuto dell’ossigeno per la respirazione è stato prezioso…). Ho riletto la mia vita, ho pregato per la mia gente di Spoleto-Norcia, ho pensato a come sarà l’ora della mia morte”. Una lettera per raccontare i giorni trascorsi al Policlinico universitario “A. Gemelli” di Roma per curare la polmonite bilaterale interstiziale causata dalla positività al Coronavirus. A scriverla è l’arcivescovo di Spoleto-Norcia, mons. Renato Boccardo, su sollecitazione di una coppia di suoi amici. Nel testo il presule racconta “l’esperienza della malattia e della precarietà: ho pensato a tutti coloro che si trovano in un letto di ospedale, ai loro famigliari lontani, a quanti li curano con dedizione e competenza, a quanti affrontano il passaggio vitale della morte soli con se stessi senza il conforto di una presenza e di una mano amica”. Un tempo, quello del ricovero, per rileggere il cammino della vita: “Nelle lunghe ore passate sdraiato sul letto in compagnia della maschera ad ossigeno ho potuto rileggere con calma il cammino della mia vita, ormai non breve. E così sono partito dagli anni dell’infanzia e dell’adolescenza, con il ricordo vivo e riconoscente dei miei genitori e dei miei nonni che sono stati per me la prima, immediata e più bella rappresentazione dell’amore gratuito e fedele di Dio”. Il ricordo “delle splendide figure di preti, di laici e di vescovi che hanno lasciato un segno indelebile nella mia vita”, quindi gli anni del ministero sacerdotale ed episcopale, “nei quali ho vissuto esperienze uniche ed ho scoperto la bellezza e la vitalità della Chiesa universale nel servizio alla Sede Apostolica, soprattutto all’ombra e alla scuola di quel grande Pontefice che fu San Giovanni Paolo II. E infine gli ormai 11 anni a Spoleto-Norcia, in questa Chiesa diocesana che il Signore mi ha dato perché le sia padre e guida, servitore e custode”. Nella lettera mons. Boccardo rievoca il tempo trascorso in preghiera, il Rosario, compiendo un autentico “pellegrinaggio” virtuale alle diverse comunità: “sono entrato anzitutto nelle case dei miei preti, ho bussato idealmente all’uscio di tutte le famiglie, condividendo la fragilità di questo tempo; mi sono accostato con affetto alle persone anziane e sole; ho rincorso i giovani; ho provato ad immedesimarmi nelle varie situazioni di vita della mia gente”. Fino al pensiero della morte: “L’esercizio del ‘contare i giorni’ mi ha condotto inevitabilmente anche al pensiero del termine naturale della mia vita terrena: quando e come sarà il momento della mia morte? Lo affido alla imperscrutabile sapienza del Signore e alla sua infinita misericordia. Mi piacerebbe però, se così è nei piani della Provvidenza, di esperimentare ancora in quei momenti la stessa intensità di affetto ed amicizia ricevuta in questi giorni… E mi piacerebbe che di me rimanesse il ricordo di qualche bene compiuto. Ecco, non vorrei sprecare questo patrimonio, e metterlo ancora a frutto per il tempo che mi rimane”.