“Nella tragedia della pandemia sono tornati alla ribalta i simboli di una cultura cristiana e cattolica pure in una società alle prese con un lungo processo di secolarizzazione delle coscienze”. Lo ha detto il sociologo Franco Garelli, intervenendo al webinar “La religione ai tempi del coronavirus. Primi tentativi di ricerca”, organizzato dal gruppo “Spe – Sociologia per la persona”. “Dobbiamo sottolineare il rilievo attribuito in questi mesi alla figura e ai gesti di Papa Francesco, oggetto di un riconoscimento pubblico andato oltre le contrapposizioni ideologiche sulla laicità dello Stato e sul ruolo della Chiesa cattolica in un’Italia in cui molti vivono diversamente la propria fede”, ha aggiunto il sociologo, che ha riportato alcuni dei risultati cui è giunta una ricerca Ipsos relativa alla prima fase acuta dell’epidemia: “Nel periodo considerato sembrano essere prevalsi nella popolazione più i segni di fede che di indifferenza religiosa, più la vicinanza che la distanza da Dio”. Infatti, “c’è stato un incremento nella preghiera, dichiarato dal 16% degli intervistati”. “Il bisogno religioso – ha proseguito Garelli – è risultato circoscritto coinvolgendo molto di più i credenti impegnati, cioè praticanti, che i cattolici che vivono ai margini della vita di fede”, mentre “nessun cambio di prospettiva sembra essersi manifestato tra quanti si dichiarano non credenti”. Il relatore ha evidenziato che “certamente la pandemia ha portato sconforto e paura, ma l’idea è che questo fosse un tempo propizio per tornare a essere più umani e solidali”. Concludendo, Garelli ha voluto porre l’attenzione su “una parte consistente del cattolicesimo impegnato”, che “ha dimostrato una vivacità sorprendente”, mentre lo stesso “non si può dire per gli italiani che costituiscono la penombra cattolica, caratterizzati da un legame religioso più di tipo anagrafico e culturale che spirituale, il gruppo cattolico più consistente e diffuso, il più cresciuto negli ultimi venticinque anni”.