At 2,42-47; 1Pt 1,3-9; Gv 20,19-31
Tempo e luogo. Il sabato è passato, siamo nel tempo della nuova creazione e della nuova storia, sprizzate fuori dalla Pasqua di Gesù. Davanti a questa assoluta novità del tempo, fa da contrasto la condizione dei poveri discepoli impauriti e barricatisi in un luogo chiuso. Ma niente può impedire al Risorto di farsi presente: "Venne Gesù a stare in mezzo a loro". È la sua presenza nella storia, in particolare nella Chiesa. Anche quando è prigioniera, il pastore non l’abbandona.
Pace a voi! Non è l’augurio per un futuro auspicato, ma la dichiarazione che Lui in mezzo a noi è il nostro presente, la nostra pace; è il solo motivo che consente ai discepoli di passare dalla paura alla gioia. Gesù lo ridice perché, nella gioia della pace, ogni discepolo possa partire per la missione che dilata la presenza del risorto, nel segno dello Spirito che porta misericordia e perdono, così come agli inizi della storia aveva portato alito di vita e bellezza in mezzo al caos.
Tommaso non era con loro quando venne Gesù. Come non erano presenti tutte le generazioni dei credenti, che avranno fede nella Parola ricevuta da quei testimoni. Per questo l’episodio di Tommaso ha rilievo. Dinanzi ai testimoni oculari ("Abbiamo visto il Signore!") Tommaso esige la prova visibile e tangibile: "Se non vedo e non metto il mio dito io non credo".
Gesù torna otto giorni dopo, sembra proprio per lui, Tommaso. Un nuovo atto di misericordia perché anche Tommaso possa vedere; di più: toccare con mano, letteralmente, le piaghe della passione. E Tommaso, anche a nome dei credenti che sarebbero venuti dopo, fa la sua bella professione di fede: "Mio Signore e mio Dio!". La beatitudine di quelli che "non hanno visto e hanno creduto" è anch’essa una grazia, un dono ricevuto: hanno accolto la fede per via dell’ascolto. Salvatore Quasimodo, premio Nobel per la letteratura nel 1959, rievocando in una intervista la sua traduzione dal greco del Vangelo di Giovanni, riguardo al testo dell’"Ecce Homo" disse che non era stato Pilato a mostrare Cristo alla folla, bensì Gesù stesso a presentarsi: "Eccomi". Gli esperti protestarono ma diedero l’imprimatur. "Sì, ho avuto l’imprimatur e la traduzione è stata accettata in pieno. Quando Pilato si affaccia all’ingresso del pretorio e presenta Cristo dopo la flagellazione, ho scoperto che nel testo latino era stato aggiunto un soggetto: et Pilatus come se quelle parole le dicesse lui. Invece in greco c’è: idou anthropos cioè una espressione che vuol dire: eccomi. Non è Pilato che porta fuori Cristo, ma è Cristo stesso che esce con la corona di spine e il manto rosso e dice: eccomi".
Così con Tommaso. Non fu l’apostolo a esigere la presenza del risorto, ma Gesù a presentarsi a noi perché lo vedessimo e lo toccassimo, attraverso gli occhi e le mani di quel discepolo. E questa è grazia, pura misericordia. Non a caso in questa domenica cade la festa della Divina Misericordia. E quest’anno anche la canonizzazione di due Papi Santi: Giovanni XXIII e Giovanni Paolo II. In questa nostra storia il Signore davvero ha aggiunto segni di misericordia straordinari in questi suoi pastori.
Angelo Sceppacerca