“Accesso alle cure e lavoro: nessuno sia abbandonato”. È il titolo di un’ampia intervista che il quotidiano di Lodi, “Il cittadino”, propone oggi ai lettori, affrontando con mons. Maurizio Malvestiti una serie di argomenti di estrema attualità. Malvestiti è vescovo di Lodi dal 2014 ed è stato il primo vescovo, in Italia, a vedere una parte significativa della sua diocesi finire nella prima “zona rossa” del Paese, nel fine settimana del 22-23 febbraio scorsi. “Abbiamo ricevuto una lezione di profonda sofferenza” dalla pandemia, osserva il prelato. “Le perdite sono state sconcertanti. Non nascondo la preoccupazione avvertita nella pausa estiva quando sembrava che avessimo già dimenticato un passato così recente. In questa seconda fase pandemica mi pare si possa riconoscere un notevole recupero di coscienza e di equilibrio: temevo maggiore stanchezza dopo parecchi mesi difficili, l’adesione alle norme di salute pubblica è stata invece ammirevole, anche nei giovani”. “La pandemia – aggiunge – ci ha ricordato una verità inesorabile: il nostro finire, se non è illuminato da una idealità, per noi cristiani dalla fede, rimane un angosciante punto di domanda. La società fa sempre più fatica a esprimere il cordoglio, tenta di cancellare la morte specie nei confronti delle nuove generazioni, mentre la vita è falsificata se non considera con le opportunità la sua radicale debolezza. Non è umiliante questo pensiero. È realismo indispensabile. Abbiamo ricevuto una lezione forte, in contrasto con una linea culturale di progresso senza freni, di possibilità illimitate, di totale autodeterminazione nel possesso delle cose e nelle relazioni. Senza essere indebitamente moralisti dobbiamo recuperare il valore del limite, della misura, per andare certamente al di là ma non da soli”.
La società è apparsa smarrita di fronte a un evento inatteso e inspiegabile. Riuscirà a riprendersi? – chiede il giornale. “Confido di sì, se farà tesoro di questo colpo in dimensione globale. Dipenderà molto dalle componenti più sensibili, che credono all’interiorità e si battono in difesa di tutti percorrendo il solco di una dignità condivisa che riesca a custodire l’umano quale insuperabile regalo comune”. Come ha reagito la Chiesa laudense? “Mi pare positivamente. Fin dall’inizio. Penso alla determinazione dei sacerdoti e di tanti laici, penso a medici, infermieri ed educatori che anche in nome della propria appartenenza ecclesiale hanno cercato di fare tutto il possibile. Alle famiglie e ai giovani che hanno trattenuto la speranza. Al volontariato. Credo che la Chiesa e la società lodigiana abbiano camminato insieme, affrontando il disagio tanto grave di comune accordo per ‘rimanere in piedi’. Abbiamo dato al mondo un segnale non indifferente di perseveranza nella cura dell’umano. La fede ci ha sorretti… anche on line”.