“Proteggiamo le cinque missionarie salesiane, le due del Cottolengo, i cinque collaboratori italiani e i numerosi sanitari cubani e kenioti che sono coraggiosamente rimasti al fianco della popolazione etiope in questo momento! Abbiamo chiesto tramite la diplomazia internazionale che il governo etiope garantisca la protezione di tutti gli operatori internazionali presenti in Tigray, apra corridoi umanitari, elimini il blocco delle telecomunicazioni, ci permetta di portare aiuti in natura ed in denaro alla popolazione senza il rischio di essere assaltati da milizie fuori controllo”. A chiederlo sono suor Laura Girotto, fondatrice della missione di Adwa, e l’associazione “Amici di Adwa”, che sostiene nella missione salesiana Kidane Mehret, in Etiopia, dal 1998. “Dal 4 novembre scorso, quando il primo ministro etiope, Abyi Ahmed, ha dato inizio ad un’azione militare in Tigray contro le forze del partito locale al potere, il Tplf, ad oggi il conflitto in Etiopia continua a non comparire nei telegiornali né sull’agenda italiana di politica estera” denunciano la religiosa, bloccata in Italia dalla pandemia, e l’associazione. “La presenza di numerosi italiani e stranieri in una regione totalmente isolata dal punto di vista delle telecomunicazioni e della copertura giornalistica, della libertà di movimento, dell’accesso agli aiuti umanitari né al sistema bancario, diventa – affermano – ogni giorno più preoccupante”. A nulla sono serviti gli appelli alla pace lanciati da Onu, Papa, Ue, Usa, Unione africana, che proprio ad Addis Abeba ha la sua sede. Si hanno inoltre notizie di recenti lanci di missili del Tplf verso l’Eritrea, a dimostrazione che la crisi è ancora in atto. Sul territorio tigrino orientale, la principale minaccia per l’incolumità della popolazione civile e dei cooperanti e missionari si sono rivelate le milizie eritree. “Questa presenza non ufficiale – afferma l’associazione ‘Amici di Adwa’ – fuori dal diretto controllo delle forze governative etiopi, si appropria di beni di prima necessità requisendoli alla popolazione ed alle strutture del territorio. Per non parlare dei rischi di rappresaglia o violenza di singoli miliziani”. In questa situazione, conclude l’associazione, il rischio è che “tutto il lavoro portato avanti da numerosi attori internazionali per offrire formazione, lavoro, assistenza sanitaria ad una popolazione segnata ciclicamente da guerre e carestie rischia di venire compromesso”.