“Un testo normativo, che non fa della celebrazione eucaristica uno spettacolo, ma un rito che coinvolge tutti i credenti”. Così mons. Claudio Maniago, vescovo di Castellaneta e presidente della Commissione episcopale per la liturgia, ha definito la terza edizione italiana del Messale Romano, che è stata introdotta, in molte regioni, con il nuovo anno liturgico, dalla prima domenica di Avvento. “È un testo liturgico, non un sussidio o un libro che raccoglie le preghiere che si leggono nella Mesa”, ha proseguito Maniago durante la conferenza stampa di presentazione on line: “È qualcosa di più impegnativo, un testo che raccoglie un’eredità importante, perché scaturisce dalla riforma liturgica voluta dal Concilio Vaticano II”. La terza edizione italiana del Messale Romano, dunque, “ha voluto tener conto di questa tradizione, custodirla e valorizzarla”. Due, ha spiegato Maniago, i grossi ambiti in cui si è lavorato in quest’opera corale, frutto dell’impegno non solo di preti o religiosi, ma anche di tanti laici, uomini e donne, che hanno portato il loro contributo partendo dalla loro specifica professionalità: “Da un lato, la vera e propria traduzione del testo, l’Editio Typica della Santa Sede consegnata alle Conferenze episcopali nel 2002”. In questo ambito, ha spiegato il vescovo, “si è voluto rendere il testo più fresco e più aderente alle dinamiche del celebrare oggi”. Dall’altro lato, c’è stato l’impegno che la Chiesa italiana ha portato avanti “attingendo al suo ingegno”, e in particolare arricchendo il testo con l’aggiunta di nuove preghiere, “non composte in maniera specifica, ma prese dal deposito che attinge al patrimonio della Chiesa”. Tra gli usi possibili del Messale Romano, oltre a quello legato strettamente alla celebrazione, Maniago ha suggerito l’ambito della “formazione del popolo di Dio”.