Ger 38,4-6.8-10; Eb 12,1-4; Lc 12,49-53
L’opera di Gesù è liberare il fuoco. C’è quello del giudizio finale e c’è il fuoco della Pentecoste; il fuoco di Dio sul mondo è il dono dello Spirito, il suo amore che scaturisce dalla morte del Figlio. Gesù la chiama battesimo, una vera immersione nel proprio sangue. L’amore assomiglia al fuoco perché sempre passa per la prova.
Anche le proposte di Gesù portano fuoco, provocano rovesciamenti sociali e familiari e ricevono anche reazioni violente perché sono decisive e chiedono risposte definitive. Scegliere Gesù e il suo Vangelo è anteporlo a tutto e a tutti, amici e familiari compresi. Lo aveva già profetato il vecchio Simeone quando abbracciando il piccolo Gesù lo indicò come "segno di contraddizione".
Il discorso sul fuoco e sul battesimo di sangue è tra Gesù e i discepoli. Gesù è consapevole della sua missione. Il fuoco è il giudizio di Dio. La sua luce accusa il peccato del mondo e smaschera la falsa pace che convive col male. Soprattutto, il fuoco gettato da Gesù sulla terra è il Dio-con-noi realizzato in pienezza nella persona di Gesù. Se dinanzi a Mosé Jahvé parlava da un roveto di fuoco, tanto più fuoco di presenza è la carne del Figlio di Dio.
San Pietro Crisologo paragona il fuoco di Gesù a quello dei contadini che preparano i terreni alla semina: falciano le erbacce, tagliano le spine e bruciano le sterpaglie. Così il campo, pulito e concimato dal fuoco, accoglie il seme della Parola che farà frutto. Fuoco e battesimo di sangue, pace e divisione sono nel cuore del mistero cristiano come mistero d’amore.
La divisione che c’è anche tra le persone più care dice che la comunione è il frutto di un cammino travagliato di conversione. Il bene reciproco fra nuora e suocera è strada quotidiana di preghiera, di pensiero, di accoglimento e apprezzamento reciproco.
Angelo Sceppacerca