“La casa es el barrio”. Un quartiere che diventa “casa”, comunità, luogo di aiuto reciproco e cura della vita. “La casa è il quartiere”. È l’espressione che ti ripetono tutti nelle “villas” di Buenos Aires, dopo duecento giorni praticamente ininterrotti di lockdown. Ce lo dice il vescovo di San Justo, mons. Eduardo García, il parroco di La Matanza, il cura villero padre Tano Angelotti, il medico Ricardo Paiva, che sempre a la Matanza ha aperto un ambulatorio con un servizio di ambulanza. Ce lo rivela, perfino, un originale programma televisivo tutto dedicato alle opere cui la “fantasia della carità” ha dato vita in questa immensa periferia. L’Argentina è stato il primo Paese dell’America Latina a chiudere tutto, per alcuni mesi la “cura” ha funzionato e la pandemia si è diffusa meno che negli altri Paesi del continente; poi, negli ultimi due mesi, verso la fine dell’inverno, l’indice dei contagi e delle vittime è schizzato in alto. È successo anche nella periferia della capitale e nei suoi quartieri più poveri. È grazie alle parrocchie delle villas se i drammatici effetti sociali di questo lungo blocco – mancanza di lavoro, chiusura delle scuole, sovraffollamento nelle piccole e fatiscenti abitazioni, la presenza della criminalità e del narcotraffico – sono stati attutiti e non sono diventati devastanti.
Un programma televisivo tutto dedicato alle villas. Un capolavoro che non doveva rimanere nascosto. E infatti la creatività e lo spirito d’iniziativa dei curas villeros (i preti delle villas) hanno fatto diventare questi quartieri periferici teatro di un seguitissimo programma televisivo, intitolato “Ser esencial” (“Essere essenziale”). Un racconto a puntate che viene spiegato al Sir dal suo curatore, il giornalista Walter Peña: “Il programma è frutto di anni di lavoro con padre Pepe Di Paola (il coordinatore e certamente il più conosciuto tra i curas villeros, ndr) e con lui abbiamo avuto l’idea. È importante rendere visibile il lavoro che tante persone stanno facendo nel momento in cui la pandemia si è sommata a una serie di problemi strutturali dell’Area metropolitana di Buenos Aires, questa incredibile riserva d’umanità, che ha dato vita a mense, dormitori, asili, ambulatori medici, unità di trasporto”.
Ecco allora, il documentario “Ser esencial”, articolato in tredici puntate. Nel momento in cui parliamo con Peña, sono andate in onda tre puntate: “Nella prima siamo andati tra l’altro nella mensa promossa da padre Pepe, un luogo particolare dove vengono distribuiti pasti con diete particolari, per chi ha problemi di salute, come infermità croniche, diabete, celiachia, ecc. Nella seconda puntata siamo stati invece in una comunità per ragazzi tossicodipendenti, la terza nella parrocchia di San José, a La Matanza, e nell’ambulatorio medico. Devo dire che la recezione è stata davvero molto buona e stiamo raccontando comunità che si organizzano, che si mobilitano”.
Se il quartiere è “una casa per tutti. Anche il Sir ha voluto approfondire una di queste storie, quella relativa alla villa La Matanza, nella diocesi di San Justo, nella periferia di Buenos Aires. “La sfida, nei nostri quartieri popolari , è soprattutto quella di custodire la vita, in tutte le sue espressioni – ci spiega il vescovo, mons. Eduardo García -. In particolare, la pandemia ha portato oltre alla malattia, anche fame, sovraffollamento, disoccupazione. A preoccuparci tantissimo è la situazione di mancanza di lavoro, e la chiusura delle scuole. I ragazzi sono in strada, e la ‘calle’ è la made di tutti i vizi. Stiamo cercando in tutti i modi di toglierli dalla strada. In questa situazione vogliamo essere Chiesa missionaria e in uscita”. È in queste situazioni che davvero il quartiere è diventato “casa per tutti”: “L’invito che è risuonato in tutto il mondo, ‘restate a casa’, era impossibile da rispettare nelle villas. Così, i quartieri sono diventati una grande famiglia”.
Ed eccoci, dunque a La Matanza, uno dei quartieri più popolosi di San Justo.
Ha dell’incredibile cosa ha prodotto in pochi mesi la capacità della comunità di organizzarsi
come racconta il parroco di San José, padre Tano Angelotti: “Sono stati ampliate le mense, ospitiamo oltre 10mila persone al giorno (prima dell’arrivo del Covid erano 2mila, ndr). Gli ospedali non riescono a seguire tutti coloro che hanno bisogno, così, abbiamo comprato un’ambulanza e allestito un ambulatorio medico. Il terzo passo è stato moltiplicare gli hogares de Christo, i centri di accoglienza per persone in difficoltà. Certo, la gente è stanca, esausta, ma penso che questa sia anche un’opportunità per uscirne migliori, per cogliere l’essenziale della vita”.
Il parroco evidenzia, in questo cammino, l’essenziale della comunità: “Lo Stato da solo non ce la può fare, non è neppure giusto essere ‘Stato-centrici’, certo lo Stato dev’essere presente, ma le comunità si devono saper organizzare”. La casa è il barrio, appunto. E a questo punta padre Tano, così come gli altri curas villeros, partendo dalle cosiddette “tre C”, capillas (chiese), colegios (scuole) e club (luoghi di aggregazione e accoglienza).
Tra tutte le iniziative nate a La Matanza, spicca dunque l’ambulatorio mobile, che è coordinato dal dottor Ricardo Paiva. “Un’esperienza unica di Chiesa in uscita – ci dice -. Sono convinto che incontriamo Gesù nel dolore e nella malattia. Non è tanto importante quello che faccio io, ma quello che fa l’intera comunità”. Il medico, cresciuto in una villa, è stato portato a la Matanza qualche mese fa dalle vicissitudini della vita, e, una volta sopraggiunto il Covid-19 si è adoperato per assistere chi ne aveva bisogno e per tenere i rapporti con l’ospedale. Ci manda una mappa, creata con “Google Maps”, dove sono collocati tutti i pazienti cui presta assistenza. “Facciamo filtro, segnaliamo all’ospedale le situazioni più gravi, curiamo gli altri”. Il bacino d’utenza è di 200mila persone, San Justo è una delle località più popolose della cintura urbana di Buenos Aires. Possono, così, ricevere attenzione persone povere, anziane, “dimenticate”. Il dottor Paiva provvede ai vaccini, alle giovani che rimangono incinte alla parte di popolazione più fragile e anziana. Così, in una delle località più povere del paese, “anche l’indice di contagio e di mortalità per il Covid-19 è uno dei più bassi”.
Minacce e occupazione di terre. Certo, oltre ai risultati tangibili, non mancano i problemi, che si chiamano per esempio occupazione di terre, violenze, minacce, presenza del narcotraffico. Anche padre Tano nei mesi scorsi ha ricevuto minacce. “Il peggior virus è l’ingiustizia sociale”, commenta il sacerdote. Aggiunge il vescovo Eduardo García: “La situazione che stiamo vivendo rischia di far uscire il peggio delle persone. La realtà, in riferimento all’occupazione delle terre, è che da decenni manca una politica abitativa. Molte famiglie sono nelle stesse abitazioni fatiscenti di quarant’anni fa, ma nel frattempo è aumentato il numero dei loro componenti. Alcuni cercano nuovi spazi, con la complicità di chi vive di clientelismo. La mia speranza è che ci sia una politica abitativa ad ampio raggio”.
(*) giornalista “La Vita del popolo”