1Re 19,16.19-21; Gal 5,1.13-18; Lc 9,51-62
La "ferma decisione" di Gesù è quella di fare la volontà del Padre: morire per amore sulla croce. Questa è la sua "elevazione". Gli uomini pensano di averlo tolto "di mezzo" col male; Dio compie il sommo bene donandolo per amore e innalzandolo a sé nella gloria. Nessuno vuole "ricevere" colui che accoglie tutti. Anche i discepoli amati, Giacomo e Giovanni, non capiscono la forza dell’indifeso che si consegna, che non incenerisce i nemici, ma si accende d’amore per essi, perdonandoli.
Dio di compassione e di tenerezza, ignoto a tutti, ai vicini e ai lontani. Anche se, a lunga scadenza, l’impotenza di un Dio che ama avrà l’ultima parola, perché l’ultima parola è Amore. Gesù non respinge i samaritani che lo rifiutano e si oppone ai discepoli che vorrebbero vendicarsi. Non s’impone il bene con la forza, che è sempre una forma di violenza.
Siamo divisi tra il desiderio di seguire lui e quello di tenerci le nostre sicurezze; noi vorremmo la cima (la gloria), senza accettarne il sentiero e la scalata: povertà, libertà e fedeltà. Gli altri nomi della castità e dell’obbedienza. Simili al Maestro, nella vita e nel destino.
Nessun affetto viene prima di Dio. È la castità dell’anima, il suo essere "sposa" di un Dio da amare in modo assoluto. Al primo posto è Dio. Volgersi indietro è rimpianto, esitazione. La scelta per Cristo frattura, è la conversione continua. Chi è attaccato a qualcuno o a qualcosa, non segue perché, in fondo, è attaccato al proprio io. Chi supera questa ha superato le altre.
Le tre istruzioni sulla sequela del Signore.
Il primo dice: "Ti seguirò dovunque tu vada"; sono parole che contengono un’ombra di presunzione. Invece, dicendo che non ha dove posare il capo, Gesù fa vedere che il discepolato è intimità con Lui.
Al secondo comanda "Seguimi!" e poi dice "Va". La sequela di Gesù si fa andando.
Al terzo dice che la sequela buona è "essere adatti", è quella di chi non confida nelle buone intenzioni o nelle sue forze, ma solo nell’aiuto di Dio.
Angelo Sceppacerca