At 5,12-16; Ap 1,9-11.12-13.17-19; Gv 20,19-31
Gesù risorto si mostra, parla e invia ogni discepolo, non solo gli apostoli. Si mette subito in mezzo a loro scardinando la porta della paura che li teneva rinchiusi, prigionieri della morte. La sua è una presenza stabile, sicura ("stette in mezzo").
Non c’è da aver paura, Gesù non è un fantasma. Se lo riconosci, esulti: "E i discepoli gioirono al vedere il Signore". La sua parola è ripetuta perché certa e programmatica: "Pace a voi" e "mando voi"; la prima dice "come" deve essere vissuta la seconda, attraverso i segni della passione e la parola della Pace.
La missione riuscirà perché i discepoli hanno dalla loro lo stesso Spirito ricevuto dal Figlio e la comunità dei credenti potrà svolgere il proprio compito in mezzo a una umanità prigioniera del male e della morte.
L’esperienza di Tommaso ci riguarda tutti perché ognuno di noi, come Tommaso, "non era con loro quando venne Gesù". È un "non esserci" che, se ci esclude dall’avvenimento diretto dell’apparizione, però spinge a entrare per un’altra via. A iniziare dalla voce degli apostoli che dicono a Tommaso: "Abbiamo visto il Signore". Certo, non è la semplice parola dei discepoli a trasmettere la fede; sarebbe facile oggi con tutti i mezzi della comunicazione sociale! La fede è sempre dono di Dio e la nostra comunicazione deve essere segno dell’amore del Signore. Un amore che cede alla debolezza di Tommaso e gli concede un’occasione nuova per vedere e credere.
Il Vangelo non dice se veramente Tommaso abbia poi messo il dito e la mano sulle mani e nel fianco di Gesù, anche se l’iconografia riproduce questa scena. C’è solo la risposta di Tommaso che è un atto di adorazione: "Mio Signore e mio Dio!". La pagina di oggi è la proclamazione della beatitudine della fede: "Beati quelli che non hanno visto e hanno creduto". Noi possiamo essere quelli che, per il dono della fede, vedono di più quello che con gli occhi della ragione e della carne non si può vedere.
Angelo Sceppacerca