“Abbiamo una situazione umanitaria sul campo grave. Sia il Comitato Internazionale della Croce Rossa sia gruppi per i diritti umani stanno segnalando, in questo mese e più di combattimenti, migliaia di feriti, e civili uccisi nell’Artsakh. La situazione è più che grave”. È l’ambasciatore della Repubblica di Armenia, Garen Nazarian, a descrivere al Sir la situazione sul campo del conflitto in Nagorno-Karabakh all’indomani dell’appello che Papa Francesco ha fatto domenica 1 novembre al termine della preghiera dell’Angelus. “Vorrei rinnovare il mio accorato appello ai responsabili delle parti in conflitto affinché intervengano quanto prima possibile per fermare lo spargimento di sangue innocente”, ha detto il Papa. “Non pensino di risolvere la controversia che si oppone con la violenza ma impegnandosi in un sincero negoziato con l’aiuto della comunità internazionale”.
Ambasciatore, ci può dire cosa sta succedendo in Nagorno-Karabakh?
Assistiamo ogni giorno a bombardamenti sui civili da parte delle forze armate dell’Azerbaigian con l’uso di armi proibite dalle convenzioni internazionali, comprese le bombe a grappolo e più recentemente munizioni al fosforo bianco, anch’esse vietate, sulle principali foreste dell’Artsakh. Si tratta di una grave violazione del diritto internazionale umanitario, delle norme e dei principi del diritto consuetudinario, delle Convenzioni di Ginevra e della Convenzione sul divieto dell’uso di alcune armi convenzionali. Molti esperti militari confermano che nel 21° secolo non sono state registrate così tante operazioni militari su larga scala e con uso di tutti i tipi di armi moderne, contro l’Artsakh, inclusi carri armati, veicoli corazzati e droni oltre a vari tipi di artiglieria, missili e razzi, aviazione – elicotteri, aerei – e un gran numero di truppe impegnate sul campo.
In un contesto così teso, quanto può influire l’appello di Papa Francesco perché le parti in conflitto possano impegnarsi per un negoziato di pace?
È molto importante che Sua Santità Papa Francesco abbia attirato ancora una volta l’attenzione della comunità internazionale. Il Papa ha chiesto di non dimenticare “quanto sta accadendo nel Nagorno Karabakh, dove scontri armati si susseguono a fragili tregue”. Ha poi denunciato il tragico aumento del numero delle vittime, la distruzione delle case, delle infrastrutture e dei luoghi di culto. Come probabilmente avrete saputo, la cattedrale del Santo Salvatore a Shushi è stata attaccata due volte da attacchi missilistici mirati lanciati dalle forze armate dell’Azerbaigian.
Cosa vorrebbe dire alla comunità internazionale?
La popolazione del Nagorno-Karabakh sta attraversando una grave crisi umanitaria che la comunità internazionale dovrebbe prendere seriamente in considerazione. Altrimenti, il popolo dell’Artsakh può diventare vittima di un genocidio. Lo diciamo conoscendo il vero significato della parola “genocidio”. Dai partner internazionali ci aspettiamo un ruolo di leadership e azioni più forti da mettere in campo ora, prima che si perdano altre vite innocenti. Chiediamo, in particolare, all’Unione Europea e agli Stati membri della Nato di esercitare una pressione economica e diplomatica per costringere i governi turco e azero a ritornare nel processo di una risoluzione pacifica. In tale contesto riaffermiamo ancora una volta le parole di Sua Santità: per fermare questo spargimento di sangue il prima possibile, occorre avviare negoziati seri e sostanziali. Dai media internazionali, ci aspettiamo resoconti accurati e verità sui crimini di guerra che si stanno compiendo in queste ore, per amplificare le voci delle vittime conflitto in corso ed esporre al mondo gli orrori inimmaginabili delle decapitazioni, delle uccisioni e pulizie etniche dall’alleanza criminale turco-azera con il coinvolgimento dei terroristi stranieri nella zona del conflitto.
Esiste una soluzione possibile per una pace stabile e duratura?
In un momento in cui le autorità azere, sostenute dalla Turchia e dai terroristi internazionali, rimangono impunite e intenzionalmente boicottano le iniziative di pace dei copresidenti del Gruppo di Minsk dell’Osce di Russia, Francia e Stati Uniti, l’unico modo efficace per fermare l’escalation di violenza, salvare le vite umane e garantire una pace stabile e duratura nella regione è il riconoscimento internazionale dell’indipendenza della Repubblica dell’Artsakh.