Srebrenica e il nazionalismo oggi. Marco Erba: “Seminare odio è un gioco pericoloso”

Venticinque anni fa il massacro di 8mila musulmani bosniaci durante le guerre balcaniche del dopo-Yugoslavia. Attraverso gli occhi della giovane Greta lo scrittore lombardo racconta, nel romanzo "La città d'argento" (in libreria da oggi), un tratto, recente e oscuro, della storia europea. "Srebrenica ci riguarda da vicino molto più di quanto possiamo pensare"

(Foto: ANSA/SIR)

“Conoscere ciò che è successo in Bosnia ieri può aiutarci a capire cosa accade oggi in Italia e in Europa e può metterci in guardia, spronandoci a costruire ponti invece che muri”.
Marco Erba, insegnante e scrittore, parla al Sir dei contenuti del suo nuovo romanzo, “La città d’argento” – che sarà in libreria da oggi – con un sottotitolo evocativo: “L’odio è il veleno peggiore. Ma tu, se vuoi, hai l’antidoto”. A 25 anni dalla strage di Srebrenica, Erba (noto al pubblico per successi come “Fra me e te”, “Ci baciamo a settembre” e il recente “Insegnare non basta”), racconta “una vicenda troppo spesso dimenticata, ma attualissima”, che “mostra come la paura del diverso può trasformarsi in odio inimmaginabile”.

Greta “scava” nella storia. A Srebrenica, nel 1995, nella più vasta tragedia delle guerre balcaniche seguite al crollo dell’ex Yugoslavia, viene scritta una delle pagine più nere della storia europea degli ultimi settant’anni, con il massacro di oltre 8mila musulmani bosniaci. “Ma Greta non ne sa quasi nulla: lei, nata a Milano, è concentrata sulla scuola e sulla sua passione, il nuoto. Non è mai stata in Bosnia, anche se metà della sua famiglia viene da lì”.

Una “piccola” vicenda dentro il quadro della grande storia.

Greta non sa nulla dell’infanzia di suo padre Edin, “delle intere giornate che ha passato, lui musulmano, a giocare nei boschi con Goran, l’inseparabile amico serbo. Dal passato, però, non si può fuggire, così Greta si ritrova a scavare nella storia della sua famiglia, tornando laggiù dove tutto è cominciato”.

“Una terra meravigliosa…”. Fin qui, lo spunto della storia del libro che, facendoci compiere un salto indietro di un quarto di secolo, vorrebbe insegnare qualcosa, di importante, anche per l’oggi, “mettendoci in guardia dal fatto che la paura – in questo caso del diverso per religione – può diventare odio e persino guerra”. Erba spiega: “La Bosnia è una terra meravigliosa. I bosniaci sono persone accoglienti, allegre, piene di vita. Eppure quello che è successo laggiù resta una tragedia immane e oscura”. “Tutte le persone che ho incontrato là mi hanno detto che fino a poco prima della guerra, se qualcuno avesse parlato di un conflitto in Bosnia, tutti gli avrebbero riso in faccia”.

Propaganda nazionalista. Secondo lo scrittore, “la Bosnia era, ed è, un Paese multietnico, dove serbi, croati e musulmani avevano sempre convissuto in pace, dove i matrimoni misti erano all’ordine del giorno. Eppure la propaganda politica dei nazionalisti ha acceso un fuoco divorante, l’ha alimentato con la benzina della diffidenza, ha seminato odio. E seminare odio è un gioco pericoloso, perché poi sfugge di mano. Se cominci ad avere paura del diverso, se il tuo vicino diventa un potenziale nemico, se ti senti minacciato, è un attimo passare alle vie di fatto”.

Lettura per le scuole. Marco Erba confida: “Il mio romanzo vuole raccontare proprio questo: come il pregiudizio generi paura, come la paura generi odio e come questo sia pericolosissimo. Parlo di odio in politica e di odio nelle relazioni più quotidiane, come quella tra due ragazze di prima superiore. E parlo di come l’odio si può vincere incontrando l’altro e scoprendolo più simile a sé di quanto si pensasse. Ho scritto dunque questo romanzo, che è adatto agli adulti ma è pensato per i ragazzi dalle medie in su, per raccontare la strage di Srebrenica 25 anni dopo ai giovani che, quando gli si nomina quella città, la città d’argento, non sanno neanche di cosa si parli. E invece la memoria è decisiva per costruire il futuro”. Conclude: “Sono tempi difficili, ma spero davvero che questa storia possa girare nelle scuole e tra persone di ogni età, far discutere, far pensare, aprire domande e dibattiti. Perché Srebrenica ci riguarda da vicino molto più di quanto possiamo pensare”.

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