“Apprezziamo che il governo abbia autorizzato la riapertura di chiese o templi. Per noi cattolici”, dopo 7 mesi di mancata partecipazione pubblica alla celebrazione dell’Eucaristia, è “necessario e urgente tornare gradualmente alla normalità della vita liturgica e sacramentale, specialmente dell’Eucaristia”. Lo scrive in una nota la Conferenza episcopale peruviana, in relazione alla recente promulgazione del decreto supremo n. 170-2020-Pcm, che in particolare all’articolo 5 regola le attività proprie della Chiesa cattolica.
Di conseguenza, si legge nella nota, “riteniamo che ogni vescovo abbia il potere, nella propria Chiesa particolare, di determinare a partire dal 2 novembre (data indicata nel decreto supremo 170-2020-Pcm) l’inizio della celebrazione quotidiana e domenicale della santa messa e degli altri sacramenti, assicurando, insieme al rispetto delle norme liturgiche, il fedele rispetto del protocollo per le attività religiose della Chiesa cattolica in tempo di pandemia approvato dalla Conferenza episcopale peruviana”.
Certo, riflettono i vescovi, “all’interno del regime di indipendenza, autonomia e mutua collaborazione espresso nell’Accordo tra lo Stato peruviano e la Santa Sede, riconosciuto dall’articolo 50 della Costituzione politica del Perù, negli ultimi mesi ci siamo coordinati con il Ministero della Salute e altri istanze del governo nazionale, per sviluppare il protocollo per le attività religiose in tempi di pandemia, le cui misure di sicurezza sono piuttosto severe e conformi agli standard internazionali”. Ora, però, con il deciso attenuarsi dei contagi, “le autorità pubbliche devono comprendere che l’Eucaristia, compresa quella domenicale, non può essere classificata come un semplice raduno né può essere considerata paragonabile, tanto meno subordinata, ad attività sociali, commerciali o ricreative legittime”.