Giuseppe Conte è andato in entrambi i rami del Parlamento a illustrare l’ultimo Dpcm, secondo la procedura che da alcuni mesi riconduce nel circuito delle Camere le decisioni assunte dal presidente del Consiglio (con il governo) per arginare la pandemia. Al successivo dibattito, però, non ha fatto seguito il voto sulle risoluzioni come solitamente avviene in questi casi: anche il Parlamento è in emergenza Covid e l’accordo tra maggioranza e opposizione per evitare la conta è stato un piccolo segnale di collaborazione istituzionale da registrare positivamente.
Era stato il Capo dello Stato, nel discorso per la consegna delle onorificenze ad alcuni protagonisti della lotta al virus, a lanciare ancora una volta l’appello: “Ciascuna istituzione certamente comprende e comprenderà che deve non attestarsi a difesa della propria sfera di competenza ma, al contrario, cercare collaborazione, coordinamento, raccordo positivo, perché soltanto il coro sintonico delle nostre istituzioni e della loro attività può condurci a superare queste difficoltà”. Non a caso il premier ha citato le parole di Mattarella nel suo intervento in Parlamento e si è detto disponibile a raccogliere proposte e suggerimenti dai gruppi d’opposizione, sottolineando però con particolare enfasi il rapporto con le Regioni. È infatti questo il livello di collaborazione che finora sta funzionando in modo più costruttivo rispetto a quanto accaduto al tempo della prima ondata del Covid. Ed è un livello dalle implicazioni politiche evidenti, se si tiene conto che la grande maggioranza delle Regioni è guidata da presidenti e giunte di centro-destra.
La controprova è arrivata dal tentativo istituzionalmente maldestro del leader della Lega si stoppare l’ordinanza più restrittiva della Lombardia. Salvini ha colto perfettamente che la linea di opposizione oltranzista e pregiudiziale al governo, volta a scaricare su quest’ultimo ogni responsabilità per l’andamento della pandemia, viene contraddetta dalla collaborazione dei “governatori” con l’esecutivo nazionale.
Il punto è che i presidenti delle Regioni, tanto più in una fase di emergenza come quella attuale, si trovano a dover rispondere ai problemi concreti dei cittadini dei loro territori prima che alle direttive dei capi-partito.
Anche la mancanza di una scadenza elettorale ravvicinata – le cronache politiche sono piene di indiscrezioni sui candidati a sindaco delle grandi città, ma si voterà nella tarda primavera del 2021 – rende necessario un ripensamento delle strategie di opposizione all’esecutivo in carica. A partire da una scelta di fondo: puntare sul “tanto peggio, tanto meglio”, sperando che il Conte 2 affondi sotto i colpi della pandemia e soprattutto delle sue conseguenze economico-sociali, o cercare di collaborare incalzandolo con proposte serie e migliorative. Certo è che se il governo blocca l’esecuzione delle cartelle esattoriali, la controproposta non può essere che non basta, devono essere cancellate pagando solo il 15% del dovuto. E chi le tasse le ha versate fino all’ultimo euro?
Dal canto suo l’esecutivo si trova davanti al dilemma della ricerca di un punto di equilibrio tra la lotta alla diffusione dei contagi e la tenuta delle attività sociali ed economiche.
Punto di equilibrio che va ricalibrato continuamente e che rappresenta una grande sfida per tutta l’Europa: purtroppo nessun leader mostra di avere la bacchetta magica e la logica del “piove, governo ladro” non porta da nessuna parte. Finora Conte ha scelto una linea di progressività e proporzionalità, articolando gli interventi sui territori in base alla corresponsabilità delle Regioni (le ordinanze dei “governatori” sono controfirmate dal ministro della Salute) e privilegiando i settori ritenuti più strategici e su cui il governo ha investito di più anche in termini finanziari: il lavoro e la scuola. È una linea difficile da presidiare perché l’incalzare dei dati sui contagi rende problematico attendere gli effetti delle misure che via via vengono adottate. Già si parla di un nuovo Dpcm per il fine settimana, ma da Palazzo Chigi arrivano smentite perentorie.