“Il Papa ci regala una nuova concezione di prossimità che, soprattutto per chi opera nella comunità e nel sociale, può rappresentare la chiave interpretativa di nuove strade da esplorare. L’enciclica pone al centro di ogni cosa un assunto tanto semplice nella sua declinazione, quanto difficile da attuare nel suo significato più profondo: nella prossimità con l’altro, con ogni altro, si completa la nostra dignità umana”. Lo scrive Luciano Squillaci, presidente della Fict (Federazione italiana comunità terapeutiche), commentando l’enciclica di Papa Francesco, “Fratelli tutti”.
Per Squillaci, “non è solo un’esortazione al rispetto dell’uomo, ma a condividere una ‘fratellanza’ che va oltre, che entra dirompente nella nostra sfera relazionale”. Dunque, “un concetto di prossimità che non si nutre di un mero rapporto ‘contrattuale’ tra l’incluso e l’escluso, dove il primo può limitarsi a vivere l’altro come soggetto da assistere, ma che impone di mettere in gioco se stessi, in quanto persone, non per il ruolo assegnato, nella costruzione di una relazione dove si è protagonisti alla pari”. Seguendo tale logica, osserva il presidente della Fict, “non siamo più semplicemente chiamati a chiederci chi sia il nostro ‘prossimo’, atteggiamento che spesso ci ha portato a conseguenze di chiusura difensiva nei nostri ristretti gruppi sociali, ma siamo chiamati a farci ‘prossimo’ di ogni altro. È la prossimità che diviene ‘popolo’ e comunità”.
Secondo Squillaci, “è l’uomo, in particolare il più fragile ed emarginato, il centro dell’enciclica”. E, nella dimensione della prossimità, “ripartire dagli ultimi significa metterli concretamente al centro di un processo di ‘liberazione’ teso a restituire loro piena dignità umana”.