“Dio dona, ma chiede anche, e l’amore non può essere se non così, un amare e attendere di essere riamato. Tutta la storia della salvezza può essere riletta a partire da questo desiderio di Dio, che sempre attende che il Suo amore sia corrisposto. E spesso attende invano”. È quanto afferma l’amministratore apostolico del Patriarcato Latino di Gerusalemme, mons. Pierbattista Pizzaballa, nella sua meditazione al Vangelo della domenica (4 ottobre). Riflettendo sulla parabola dei vignaioli omicidi, l’arcivescovo spiega che “Dio, come il padrone della vigna, dà e si aspetta di ricevere. E, più precisamente, si aspetta di ottenere in cambio il frutto di ciò che Lui ha donato, ciò che nasce dal lavoro dell’uomo a partire da quanto Lui gli ha dato”. “Dio – aggiunge il presule – si attende gesti che rivelano quel che c’è nel cuore dell’uomo. Attende dei segni che dicano il riconoscimento, da parte dell’uomo, del dono ricevuto, della gratitudine per Colui che per primo ha donato. Di fronte a questa attesa, Dio è disarmato: può solo attendere”. Per mons. Pizzaballa, “Dio manda certo dei segni che ricordano all’uomo che deve fare il suo passo, il suo gesto; ma non lo pretende. Tutto si gioca sulla fiducia, ed è una fiducia che, nel racconto della parabola, cresce e che sembra incredula di fronte alla possibilità di non ricevere la risposta attesa”. Infatti, annota mons. Pizzaballa, “Dio, il padrone della vigna, manda suo figlio. Lo invia come segno di fiducia rinnovata, come nuova possibilità offerta ai vignaioli”. La speranza è che proprio “il Figlio riesca a raccogliere dalle loro mani quel gesto di amore fa di loro persone affidabili, persone vere”. Questo nella parabola non accade: “Il Figlio subisce la sorte di tutti gli altri” ma paradossalmente, conclude mons. Pizzaballa, “proprio il sacrificio del Figlio sarà la risposta tanto attesa, quella che finalmente restituisce al Padre la pienezza dei frutti sperati. Cristo è il frutto maturo che il Padre attendeva da sempre, il frutto finalmente riconsegnato nelle Sue mani”.