II domenica dopo Natale

Sir 24,1-4.12-16; Ef 1,3-6.15-18; Gv 1,1-18

È tale lo splendore del Natale che non se ne capisce la misura e non se ne abbraccia la ricchezza nello spazio di una notte. Giovanni ci soccorre e sostiene il nostro stupore guidandoci, col prologo del suo Vangelo, a intravederne la misura abissale.

Gesù, il Cristo, al centro di tutto, ma anche "prima di tutto". È lui la perla del progetto di salvezza di Dio. È sempre lui che spiega noi a noi stessi dicendo che siamo presenti a Dio perché ci ama con amore infinito e perché ha apparecchiato ogni cosa per noi.

L’altra "perla" del Natale è la "paternità" di Dio, quella ad intra del Padre che genera da sempre il Figlio, e quella ad extra che ci fa figli nel Figlio il quale, avendo preso la nostra carne, è diventato in tutto simile a noi fuorché nel peccato. Gesù figlio di Dio per natura, noi per adozione. All’origine di questo grandioso progetto di salvezza c’è il Padre e "Benedetto sia Dio, Padre del Signore Nostro Gesù Cristo, che ci ha benedetti con ogni benedizione spirituale nei cieli, in Cristo". A noi non resta che chiedere luce per una più profonda conoscenza del mistero di questo dono che fa risplendere, sul nostro, il riflesso della gloria che splende sul volto di Cristo.

Giovanni, nel Prologo, chiama Gesù Verbo, in greco logos, cioè parola che dice, manifesta.
Gesù dice Dio
e lo fa vedere
prendendo la nostra carne, abbassandosi fino a noi, diventando un Dio vicino: "E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi". L’incarnazione, il massimo dello spogliamento, è anche il vertice più alto della rivelazione di Dio. Gesù dice e fa vedere Dio, ma anche mostra all’uomo a se stesso, gli ridà volto e senso, identità e natura e a coloro che "l’hanno accolto ha dato potere di diventare figli di Dio" perché "da Dio sono stati generati".

Angelo Sceppacerca