“Dopo il responsabile ripensamento della Prefettura di Genova affinché l’accoglienza dei richiedenti asilo potesse essere una vera opportunità, anziché la gestione di un problema, la Chiesa genovese presenterà un progetto che parte dalle intuizioni di Papa Francesco”. Così mons. Giacomo Martino, direttore dell’Ufficio Migrantes della diocesi di Genova, in merito alla situazione legata all’accoglienza dei richiedenti asilo. “L’odierna situazione dei richiedenti asilo presenta una criticità dovuta alla visione semplicemente alloggiativa e assistenziale aggravatasi dall’ultimo decreto governativo sulla sicurezza”, afferma il sacerdote genovese in un editoriale pubblicato dal settimanale cattolico di Genova, “Il Cittadino”. A causa delle attuali normative, “molte persone, uomini, donne e figli, usciti alla fine del percorso di emergenza delle nostre realtà non hanno più potuto accedere, come prima, ai percorsi integrativi dello Sprar (ora Siproimi), che aiutavano un inserimento abitativo e lavorativo quanti avevano avuto il permesso”. La situazione, dice il sacerdote, è diventata via via sempre più difficile perché “la stragrande maggioranza di quanti erano ospitati nelle nostre case genovesi, non avendo ricevuto i documenti perché è stato cancellato il permesso per ‘motivi umanitari’, sono diventati dei senzatetto che vagano per le strade, anche in questo momento di rischio di contagio, senza trovare un letto per dormire, senza documenti per lavorare e quindi, spesso, nelle mani di chi li sfrutta illegalmente per dare loro il minimo per la sopravvivenza. Senza documenti, però, non si può affittare una casa, avere un contratto di lavoro, pagare le tasse e davvero non si potrà mai integrarsi vivendo sempre come una minoranza sfruttata, legata al disagio economico e al colore della pelle e al Paese di provenienza”. A tutto questo, vuol provare a rispondere la Chiesa genovese con un progetto “che parte dalla persona e dalla relazione di amicizia, con tante idee e cose concrete, con suggerimenti e innovazioni, ma senza mai prescindere dalle persone” perché “volere bene al nostro territorio, alla nostra città, al nostro quartiere parte proprio dal non fare sentire più nessuno straniero”.