Domenica 29 agosto

Sir 3,19-21.30-31; Eb 12,18-19.22-24; Lc 14,1.7-14

Non è una lezione di buone maniere. Gesù sta parlando del Regno di Dio e il banchetto ne è l’immagine. Regno e banchetto hanno in comune la necessità di essere invitati dal Padre, ma sul resto c’è una vera rivoluzione in quello descritto dal Signore: gli invitati sono gli umili e i bisognosi di tutto, soprattutto di salvezza. Il banchetto suggerito da Gesù è contrario a tutti gli usi abituali, perché rivolto, come invitati, a tutte le categorie di emarginati. Di fronte a Dio nessuno lo è, ciascuno è prossimo.L’invito a nozze non dipende da noi perché il banchetto non è nostro. Prima viene la scelta di Gesù ("io ho scelto voi") e poi tocca a noi dirigerci verso l’ultimo posto. Il migliore per star vicini a Gesù che, proprio per questo, ci invita a salire di posto e a sedergli accanto. Il fatto che siano invitati ciechi e zoppi, suggerisce di intrattenere con loro buone relazioni, anzi fraterne, così da sperare nella retribuzione futura.Se l’ultimo posto indica la vergogna, essere invitati a lasciarlo mostra la gloria. Il passaggio dalla vergogna alla gloria è figura esplicita della Pasqua di Gesù, ma anche della nostra vicenda. Come si vede, nel Vangelo di questa domenica c’è ben più di una norma di galateo. C’è la figura di Gesù e quella del discepolo salvato. A tenerle unite, speculari, l’umiltà.Una famiglia che da anni ha scelto di vivere con i poveri di un piccolo villaggio turco, ai confini con l’Iran, racconta: "Questo abbiamo cercato di vivere qui con questa gente: condividere la nostra umanità di figli di Dio, scoprendo che i nostri desideri, speranze, paure, lacrime e sorrisi sono gli stessi dei musulmani che vivono accanto a noi. Condividere il mistero dell’incarnazione di Gesù che ha vissuto per servire e non per essere servito. È così che abbiamo cercato di vivere con loro, come diceva san Francesco ai suoi frati che vivevano con i saraceni: essere, nella semplicità e nell’umiltà più profonda del cuore, dei servitori di un’umanità che soffre e spera, cercando di consolare, così come siamo stati consolati. Dom Helder Camara, vescovo brasiliano, ha detto che siamo noi, con la nostra vita e le nostre azioni, l’unico vangelo che molte persone leggeranno. Cerchiamo allora di essere quella ‘edizione speciale’ del vangelo, dove la specialità è data dall’umiltà e dalla disponibilità all’amore".Un santo redentorista, san Clemente Maria Hofbauer, andava a fare la questua per i suoi orfani e, passando a chiedere in una locanda, uno degli avventori gli sputò in faccia; "questo era per me ed era giusto" – gli disse San Clemente – "ora però, ti prego, dammi qualcosa per i miei orfani…". L’uomo fu talmente colpito dall’umiltà del santo che cambiò vita. A Madre Teresa di Calcutta un giornalista domandò che cosa secondo lei non andava bene nel mondo; rispose: "Quello che non funziona, signore, siamo lei ed io".

Angelo Sceppacerca