In questo settembre congestionato come non mai almeno nella storia recente, il mondo politico si muove lungo due filoni che sembrano scorrere paralleli, quasi reciprocamente estranei, ma che in realtà si influenzano profondamente. Da una parte ci sono due grandi priorità: la ripartenza della scuola, autentica prova nazionale che dovrebbe vedere mobilitato tutto il Paese, e la ripresa dell’economia, strettamente intrecciata con l’elaborazione dei piani per accedere ai fondi europei.
Sullo sfondo di tutto – o in primo piano, a seconda del punto di osservazione – c’è la questione dell’andamento dei contagi che condiziona qualsiasi operazione e progetto si intenda mettere in campo. Dall’altra parte, incombe una scadenza elettorale che coinvolge potenzialmente tutti i cittadini, chiamati a votare per il referendum costituzionale sul taglio dei parlamentari, con un doppio appuntamento (e in alcuni casi triplo, laddove si vota anche per i Comuni) nelle Regioni in cui si eleggono i cosiddetti “governatori”.
Il primo versante vede impegnato soprattutto l’esecutivo, mentre i partiti sembrano assai più interessati all’election day del 20 e 21 settembre. Il che in una certa misura è fisiologico, ma solo in una certa misura, appunto. Perché la ricerca del consenso sganciata da una responsabile valutazione dei problemi reali è una truffa ai danni degli elettori. E anche perché poi, con un corto circuito purtroppo ben noto alle cronache politiche, si attende l’esito del voto per trarne le conseguenze a livello di governo anche quando non si tratta di elezioni parlamentari.
Vero è che l’esecutivo procede con non poche difficoltà, dovute in particolare alle tensioni interne del partito di maggioranza relativa, il M5S, e ai continui ostacoli che emergono sul suo cammino. Ultima arrivata la decisione della Corte di giustizia della Ue che mette in crisi l’attuale assetto del sistema radiotelevisivo in un momento in cui il settore delle comunicazioni è già di suo in fibrillazione per l’operazione fibra unica. Dall’Istat arriva qualche primo segnale confortante sulla ripresa economica e il confronto con gli altri Paesi, sia per quanto riguarda i contagi che le conseguenze economiche della pandemia, dice che l’Italia sta messa meglio (o meno peggio) di altri, a dispetto di certi masochismi propagandistici. Ma ciò non toglie che l’impatto del Covid sia stato devastante soprattutto per quanto riguarda l’occupazione e l’andamento demografico.
Occorrono interventi strutturali e per questo il governo non può commettere errori nell’individuare i progetti su cui chiedere i finanziamenti europei.
Per un primo anticipo, pari al 10% dei fondi, il piano italiano dev’essere presentato entro il 15 ottobre. Entro settembre, peraltro, l’esecutivo dovrà stilare la Nadef, la Nota di aggiornamento di economia e finanza, che individua le coordinate della prossima legge di bilancio. Nel frattempo ci sono da affrontare i delicati passaggi parlamentari per la conversione in legge dei decreti già emanati. A metà settembre scade quello denominato “semplificazioni”, a metà ottobre quello ribattezzato “agosto”. La questione di fiducia sul decreto “Covid”, alla Camera, è stata appena superata positivamente nonostante i dissensi tra i deputati del M5S, ma l’esito della votazione – appena 219 sì contro 126 no – ha rivelato un gran numero di assenze e quindi la volontà delle opposizioni di non cercare la spallata contro il governo. Dopo la tornata elettorale e in relazione ai suoi esiti il quadro potrebbe cambiare, anche se una crisi di governo nella situazione in cui è il Paese e con le scadenze cruciali che lo attendono, apparirebbe un azzardo insostenibile. Tanto più che il Quirinale non cessa di chiedere a tutti i soggetti in campo un atteggiamento responsabile e realistico.
Nelle due Camere, intanto, va avanti in lungo iter di revisione costituzionale di alcune norme che, nelle intenzioni della maggioranza, dovrebbero accompagnare e integrare il possibile (e stando agli attuali sondaggi probabile) taglio dei parlamentari. L’8 settembre va in Aula a Palazzo Madama l’allineamento dell’elettorato attivo e passivo tra i due rami del Parlamento. In pratica, voto a 18 anni e possibilità di essere eletti a 25 anche per il Senato. Alla Camera si lavora in commissione, con la prospettiva di andare in Aula il 25 settembre, per il superamento della base regionale nelle elezioni del Senato e per la riduzione del numero dei delegati regionali nell’elezione del Presidente della Repubblica, così da compensare il minor numero di parlamentari. Discorso a parte per la legge elettorale, che si modifica con procedura ordinaria: è stata calendarizzata a Montecitorio per il 28 settembre, ma tutto sembra ancora piuttosto incerto, tanto più dopo la tornata elettorale.