Eminenza, dopo l’esplosione al porto la popolazione attende ancora di conoscere cause e responsabilità della tragedia. Cosa sta rallentando l’inchiesta?
Diciamo che sulla velocità dell’inchiesta giudiziaria pesano diversi fattori. Tuttavia, a mio parere, si sta procedendo bene. Le autorità stanno convocando e interrogando molti testimoni e persone con ruoli di responsabilità all’interno del porto. Un’inchiesta veloce potrebbe significare anche una certa superficialità nella conduzione, per questo credo sia meglio approfondire e scovare le responsabilità. Questo è quello che il popolo libanese vuole sapere. Questi esplosivi erano stoccati nel porto da anni e tutti lo sapevano.
Vogliamo conoscere la verità e avere giustizia.
Davanti alla gravità del fatto, alla distruzione della nostra città, e soprattutto davanti a tante vittime non sono ammesse leggerezze e superficialità.
Il Libano vive nella morsa di una gravissima crisi economica, politica e sanitaria a causa del Covid-19: quali sono oggi le condizioni del popolo libanese?
La situazione sociale, economica e monetaria si sta deteriorando sempre di più. Il popolo è allo stremo. La disoccupazione ormai riguarda più della metà dei libanesi, il 60% della popolazione vive sotto il livello di povertà secondo le statistiche delle Nazioni Unite. I libanesi non sono abituati a vivere aspettando gli aiuti. Ringraziamo le Nazioni che ci stanno sostenendo ma il Libano vuole vivere non di aiuti ma con le proprie risorse. I libanesi hanno bisogno di forza morale.
In che modo la Chiesa libanese sta aiutando la popolazione?
Chiese, diocesi, patriarcati, parrocchie, istituti religiosi, conventi, organizzazioni umanitarie sono state tutte mobilitate – già prima della pandemia da Covid-19 – per creare una fitta rete di solidarietà e arrivare così a tutte le famiglie bisognose e alle persone vulnerabili. Stiamo consegnando viveri, kit sanitari e ogni altro bene necessario per andare avanti. Ci siamo detti e ripetuti che nessuna famiglia deve morire di fame e in questo modo stiamo tenendo su il morale di tantissime persone.
Dal mondo politico, invece, che risposta sta venendo?
Qui dobbiamo denunciare l’irresponsabilità della classe politica. È inaccettabile. Ogni giorno denunciamo pubblicamente questa inazione.
Per il futuro confidiamo nei tanti giovani che manifestano in strada. La loro rivoluzione sta mettendo a nudo la classe politica e la sua incapacità di dare risposte alla crisi.
In queste ultime settimane lei ha più volte ribadito la necessità di una “neutralità attiva” in chiave politica del Libano. La salvezza del Paese dei Cedri passa per la sua neutralità?
È un vero e proprio appello a ritornare all’identità libanese che è quella di un Paese neutrale, che rifiuta la guerra. Il Libano, cito parole di San Giovanni Paolo II (Lettera apostolica a tutti i vescovi della Chiesa cattolica sulla situazione nel Libano, 7 settembre 1989, ndr.) riprese mercoledì scorso da Papa Francesco, è ‘un messaggio di libertà, un esempio di pluralismo tanto per l’Oriente quanto per l’Occidente. La scomparsa del Libano diverrebbe senza alcun dubbio uno dei più grandi rimorsi del mondo. La sua salvaguardia è uno dei compiti più urgenti e più nobili che il mondo contemporaneo deve assumersi’.
In cosa consiste questa neutralità attiva?
Stiamo lavorando a questo statuto di neutralità dialogando internamente e anche con gli ambasciatori di diversi Stati. Il mio appello ha trovato una risposta quasi unanime nella popolazione libanese.
La neutralità è garanzia dell’unità del Paese e della sua stabilità.
Neutralità significa rifiuto definitivo del Libano di entrare in coalizioni o conflitti a livello regionale e internazionale, non subire interferenze nei suoi affari interni da qualsiasi Stato, significa ribadire il pluralismo religioso, culturale e civile, come caratteristica specifica del Libano. Neutralità implica anche il rafforzamento dello Stato libanese affinché sia capace di garantire la sua sicurezza interna ed esterna. Nella ‘neutralità attiva’ possiamo vedere una via di uscita anche alla crisi economica. La neutralità, portando stabilità e sicurezza, avrebbe innegabili vantaggi per tanti settori della vita pubblica, scuole, sanità, turismo, finanza, università, sistemi produttivi in genere. Ma
dobbiamo accelerare il processo perché stiamo perdendo molte forze vive. Tanti giovani stanno emigrando. Essi hanno il diritto di vivere dignitosamente. Se venissero a mancare i nostri giovani per il Libano sarebbe una grave perdita.
Il presidente del Libano, Michel Aoun, ha chiesto di “dichiarare il Libano come uno Stato laico”. Che ne pensa?
Il Libano, sin dalla sua proclamazione il 1 settembre 1920, è uno Stato laico o meglio dire ‘civile’ come si usa dire in arabo. Laico nella misura in cui separa religione e Stato. Né Vangelo né Corano sono fonti di legislazione. Il potere politico, giudiziario e militare è partecipato tra cristiani e musulmani. Invece in tutti i Paesi del mondo arabo troviamo che la religione di Stato è l’Islam, la fonte della legislazione è il Corano, il potere politico, militare e giudiziario nelle mani dei musulmani. Ciò che va evidenziato è il fatto che il Libano separa religione e Stato ma non separa lo Stato da Dio. Questo per dire che il Libano rispetta tutte le religioni come sancisce l’art. 9 della Costituzione. Il Parlamento libanese non legifera nulla che sia contro la legge divina, sia cristiana che islamica.
Il Libano deve recuperare il suo Dna di Stato laico.
In questo siamo d’accordo con l’appello del presidente Aoun e a riguardo stiamo lavorando per avanzare le nostre proposte e dare così il nostro contributo al Paese.
I politici libanesi non sembrano essere capaci di riformare il Paese. Forse la comunità internazionale potrebbe dare una spinta in questa direzione? Particolarmente attivo sembra essere il presidente francese, Macron, che in un mese ha già visitato il Libano due volte, il 6 agosto e il 1 settembre. L’8 settembre sarà la volta del Presidente del Consiglio Giuseppe Conte. In questi giorni anche la visita della Vice Ministra degli Esteri, Emanuela Del Re, per coordinare gli aiuti italiani…
Ringraziamo la comunità internazionale per la generosità negli aiuti. Il nostro grazie va anche a Paesi come la Francia e l’Italia che hanno profondi legami con il Libano.
Vorrei ricordare che prima del 4 agosto, giorno dell’esplosione, la comunità internazionale aveva boicottato il Libano poiché ritenuto nelle mani di Hezbollah. Nessuna trattativa o dialogo potevano essere avviati finché il Libano non si fosse liberato da Hezbollah.
Ora, dopo il 4 agosto, tutti si sono offerti di aiutarci. Si tratta di un aiuto dato al popolo e non certo alla classe politica. La politica deve assumersi la responsabilità della situazione che non mai stata così grave. La politica ha distrutto il Libano.
Uno dei nodi da sciogliere della crisi è anche il milione e mezzo di rifugiati siriani che sono arrivati in Libano dal 2011 (1,5 milioni di rifugiati su un totale di 6,7 milioni di persone, più della metà ha meno di 18 anni, ndr. )…
Abbiamo un milione e mezzo di siriani che aumentano ogni anno di 30/40 mila nuovi nati. Ci sono poi 500mila palestinesi. Mangiamo tutti quanti insieme dallo stesso piatto. La situazione economica peggiora ogni giorno di più. Dobbiamo pensare a far rientrare i rifugiati siriani nel loro Paese. Ma la comunità internazionale dice di attendere prima la soluzione politica del conflitto. Altrimenti la vita di tanti rifugiati sarebbe in pericolo. I palestinesi stanno aspettando la soluzione politica del conflitto con Israele da 74 anni, se sarà così anche per i siriani per loro il ritorno in patria sarà impossibile. Io credo che la cosa da fare sia separare la soluzione politica della guerra in Siria dal ritorno dei siriani in patria.
La comunità internazionale non può dire che nessun soldo sarà impegnato in Siria finché Assad sarà al governo. Le cose vanno separate. Oggi il Libano sta pagando il prezzo della guerra in Siria. Non possiamo pagare gli sbagli degli altri.