Mascherina sì, mascherina no, banchi monoposto, distanza quanto basta, aule in luoghi più spaziosi, ampliamento degli organici: sono gli argomenti che hanno tenuto banco quest’estate in vista della riapertura delle scuole. La campanella, nella maggior parte d’Italia, suonerà il 14 settembre, tra ansie e preoccupazioni di famiglie, studenti, insegnanti. Le misure adottate dal governo italiano, alla fine, non differiscono di molto da quelle scelte dagli altri Stati europei alle prese con la stessa emergenza da Covid-19. Ma la scuola italiana sarà all’altezza della sfida che l’aspetta? Ne parliamo con Giuseppe Savagnone, responsabile di Tuttavia.eu, il sito della Pastorale della cultura dell’arcidiocesi di Palermo, per oltre quarant’anni insegnante di liceo, ora in pensione.
Professore, cosa pensa delle misure adottate per la ripartenza della scuola?
Oggi si parla molto di mascherine, distanziamento, di banchi con rotelle, aule ampie: si tratta di questioni importantissime sulle quali non possiamo glissare né possiamo ignorare la gravità della situazione attuale, ma è come se si credesse di poter ricominciare la scuola come era prima del lockdown, quasi ignorando la svolta profonda che sul piano esistenziale e culturale il coronavirus ha comportato. Oggi non possiamo riaprire la scuola risolvendo solo i problemi tecnici, continuando a fare come se nulla fosse accaduto.
Qual è il passo in più che si deve compiere?
La scuola anche nella sua qualità e non solo nella sua quantità deve ritrovare la sua dimensione educativa e culturale. Il coronavirus non ci ha insegnato nulla? Eppure, ci ha mostrato la fragilità esistenziale dell’umano, la precarietà dei nostri sistemi economici e sociali, ha messo in luce ingiustizie profonde. Ha svelato che è un’ipocrisia che l’uguaglianza che si crea in classe sia reale: infatti,
la didattica a distanza ha evidenziato l’abisso di disparità nella vita degli studenti.
È giunto il momento per la scuola di ripensare se stessa. Da qui si deve ripartire. Nel momento in cui sono crollati tanti muri, i docenti devono riscoprire la loro creatività, che sembrava completamente perduta. Nel tempo la scuola è stata completamente svalutata socialmente, riducendo i docenti a impiegati mal pagati, annoiati e stanchi, considerati dei fannulloni da tanti.
Il Covid ha solo messo a nudo la crisi?
Sì, la scuola era in crisi già prima del coronavirus perché aveva perduto la sua identità culturale; è stata per troppo tempo autoreferenziale. Si dovrebbero studiare i libri e concepire le lezioni come finestre sulla realtà. E oggi il Covid è la realtà: non è un piccolo incidente, ma un evento con una portata maggiore delle guerre mondiali perché coinvolge tutto il pianeta senza eccezioni, nella quotidianità. La pandemia ci costringe a essere creativi: i docenti hanno il ruolo insostituibile di mediare le tradizioni del passato con la nuova situazione per comunicare agli studenti uno sguardo nuovo sulla vita.
Quest’estate abbiamo visto ragazzi poco rispettosi delle misure necessarie per arginare il Covid. A scuola possiamo aiutare gli studenti a capire meglio di fronte a quali sfide ci troviamo?
Certo,
l’insegnante deve tornare maestro di vita
e aiutare a ripensare la socialità. Il distanziamento non significa che ognuno deve stare per conto suo ma è un modo per rispettare gli altri. Non a caso, noi che siamo abituati alla società di massa, quest’estate, ci siamo subito riammassati, senza rispetto per gli altri. Purtroppo, negli ultimi tempi la scuola ha parlato solo di se stessa e non ha educato, per lo più, le nuove generazioni a un impegno civile, politico, umano, esistenziale. I risultati sono sotto i nostri occhi. Ora il coronavirus sta dando una spallata a tutto questo.
Il Covid pone una grande sfida alla scuola, ma tutti gli istituti sono pronti a raccoglierla?
Io vivo a Palermo. Qui le scuole delle periferie anche prima del Covid avevano dei deficit paurosi di attrezzature, ma non solo. Basti pensare che le elementari e le medie dei quartieri periferici a volte vengono vandalizzate da bande di ragazzi del posto che le devastano per il puro piacere di distruggere. Mi chiedo, allora, quale sarà il destino in istituti siffatti dei nuovi banchi con le rotelle, chi userà le mascherine? Come si riuscirà a gestire tutto questo? Non si può addossare tutto sulle spalle dei dirigenti scolastici. Ho trovato grave il sottile tentativo, poi rimangiato, in questi mesi di scaricare, in nome dell’autonomia, sui dirigenti scolastici le responsabilità e i rischi della riapertura, ignorando o fingendo di ignorare che già prima del coronavirus c’era gente che andava a rompere il naso al dirigente scolastico per protestare perché il figlio era caduto o aveva avuto un voto negativo.
In una società e in un panorama politico sempre più litigiosi, tutti concordano sull’importanza della riapertura della scuola…
La decisa volontà di riaprire la scuola va apprezzata: l’Italia riconosce che la scuola è centrale per il Paese. Ma vorrei che si ripensasse al ruolo primario della scuola anche dopo il Covid. In questi anni sono stati tagliati tanti fondi ma se vogliamo che la scuola sia una priorità dobbiamo essere coerenti destinando non solo forniture di mascherine, ma più risorse.
Cosa ne pensa dell’allarme sui docenti che chiederebbero l’esonero in quanto “fragili”?
I numeri che circolano mi sembrano esagerati, comunque anche in questo caso il coronavirus smaschera delle situazioni di disagio: un professore così svogliato da preferire di stare a casa deve essere rimotivato. C’è stata una svalutazione sociale ed economica dei docenti. Oggi i professori sono ai margini, mentre un tempo avevano un importante ruolo intellettuale, culturale e sociale.
In una dichiarazione congiunta il ministro italiano della Salute, Roberto Speranza, e il direttore regionale per l’Europa dell’Oms, Hans Kluge, non hanno escluso il ricorso alla didattica a distanza in caso di necessità legate all’emergenza. Ma quanto è importante tornare in classe?
La didattica a distanza può conservare una sua funzione puramente ausiliaria. Il cuore dell’insegnamento, però, è una relazione umana. In oltre quarant’anni di insegnamento ho visto come sia importante per i ragazzi il rapporto diretto con il professore. Io ricordo che camminavo tra i banchi e capivo dai loro occhi se stavano comprendendo quanto spiegavo: la didattica a distanza annulla questo rapporto concreto e diretto. Io non la demonizzo, ma
il ritorno in presenza è indispensabile, senza di questo la scuola muore.