Domenica 4 luglio

Is 66,10-14; Gal 6,14-18; Lc 10,1-12.17-20Un altro mondo. È quello in cui vivono i santi, rispetto al nostro che crediamo il solo possibile. Quello ha Dio come signore e padre e tutti semplicemente fratelli; il nostro, invece, si mostra sempre meno come il giardino dell’inizio, mentre la lotta a sopraffarsi pare una tara ereditaria. I santi sono semplicemente i discepoli-operai della vigna del Signore, donne e uomini di ogni tempo e luogo, così come li ha voluti il Maestro: non si presentano come single, ma come piccole comunità vive, vere famiglie "dove due o tre"; somigliano agli agnelli, piuttosto che ai lupi; non li riconosci dalla borsa (sono portavoce, non portaborse), ma dai piedi impolverati e dalle mani callose di servizio; lì dove mettono piede e cuore, portano e lasciano la pace che prima hanno ricevuto; condividono il pane e il vino della mensa che li accoglie. "Quelli di Cristo", i cristiani, trovano case che li accolgono e case che non li accolgono; in conto hanno messo anche il disprezzo. Sono tutti missionari: settantadue sta per moltitudine, dice la missione evangelica in proporzione universale, al di là dei confini di Israele; perciò la messe è sterminata, ben più ampia delle folle dinanzi a Gesù. I discepoli, soprattutto, si riconoscono perché guariscono i malati, di dentro e di fuori, e cacciano i demoni, senza rimanerne avvelenati. Tutta la paga dei discepoli è nella gioia di esserlo e di appartenere non tanto a questo, quanto a un altro mondo, appunto.Essere come agnelli in mezzo ai lupi non è una dolorosa eventualità, ma la descrizione della fisionomia ordinaria dell’essere cristiani. Essere piccoli e deboli, povero di mezzi e di protezioni, non è un buon consiglio spirituale; è la manifestazione di Cristo e della sua croce che salva e cambia il mondo perché cambia il nostro cuore.La buona notizia va portata di casa in casa, da famiglia a famiglia, per questo la prima parola è "pace" e chi la pronuncia ne è figlio. Annunciare la pace è anche giudizio, perché segna chi l’accoglie e chi la rifiuta; il discepolo si scuote la polvere dai sandali perché neanche un granello di odio è sopportabile al Vangelo.I discepoli son felici per un dono ricevuto, non per il merito dell’impresa. Ora sanno che il loro nome è scritto in cielo, si sentono prediletti del Padre che li pone accanto a sé e questa è la ragione della loro potenza nei confronti del mistero del male. Il primato è sempre di Dio e della sua grazia.I settantadue siamo tutti noi venuti dopo i Dodici.Angelo Sceppacerca