Un appello arrivato proprio nel momento in cui in Libano si fa fatica a sperare. “Le parole pronunciate oggi all’udienza dal Santo Padre ci hanno dato nuova speranza. Ci dicono che il Papa è al nostro fianco, che non ci ha dimenticato, condivide con noi le nostre sofferenze e si preoccupa del nostro futuro”. Raggiunto telefonicamente dal Sir, è padre Marwan Moawad, parroco della chiesa maronita di S. Maroun-Bouchrieh, a parlare. La parrocchia si trova a soli 3 chilometri di distanza dalla zona del porto dove esattamente un mese fa, il 4 agosto, sono avvenute le due esplosioni. Una tragedia che è costata la vita a 190 persone. I feriti furono 6.500. L’onda d’urto qui è stata violentissima e il sacerdote è diventato famoso sui social perché le telecamere lo hanno ripreso durante le esplosioni mentre stava celebrando la messa. Ad un mese di distanza, “la situazione sul posto è ancora drammatica”, dice il parroco. “Attorno a noi è ancora distruzione totale e la ricostruzione non è a ripartita. Alle promesse non sono seguite le azioni necessarie. Ci sono ancora molte persone che avendo perso la casa, hanno bisogno di tutto. Per questo nella mia parrocchia ogni giorno provvediamo a distribuire alimenti e piatti caldi a chi non sa dove andare”.
Alle esplosioni, erano seguite proteste e manifestazioni di piazza e nei giorni scorsi il diplomatico Mustapha Adib, ambasciatore del Libano in Germania dal 2013, ha ricevuto il mandato (con il voto favorevole di 90 parlamentari su 120) di formare il nuovo governo. “Non è cambiando una sola persona che si può pensare di uscire dalla crisi in cui il Libano è sprofondato”, commenta subito padre Marwan Moawad. “Il Paese ha bisogno di riformare l’intero sistema politico ed economico se vuole costruirsi un futuro ed è quello che chiedeva la gente che è scesa in piazza”. Il parroco condivide la preoccupazione con cui la Chiesa cattolica maronita sta guardando al lento ma continuo esodo dei cristiani all’estero. “L’80% dei giovani della mia parrocchia vuole lasciare il paese ed emigrare e questo rischia di cambiare in profondità la conformazione demografica di questo paese”. Le parole del Santo Padre cadono dunque in questo contesto di vita messo duramente alla prova. Abbracciando oggi al termine dell’udienza la bandiera libanese, Francesco ha annunciato per il 4 settembre una Giornata di preghiera e di digiuno universale per il Libano e l’invio a Beirut del cardinale segretario di Stato Pietro Parolin, quale rappresentante del Santo Padre ed espressione della sua “vicinanza e solidarietà”. “Grazie Papa Francesco”, dice il parroco. “Noi cristiani del Medio Oriente abbiamo bisogno del suo supporto perché sappiamo che la sua voce è ascoltata dai responsabili politici”.
“C’è un evento interessante ed è l’azione che sta portando avanti il presidente francese Emmanuel Macron”. Michele Zanzucchi, giornalista e grande conoscitore del Libano dove ha vissuto, parte dalla visita di Macron a Beirut dove è tornato per la seconda volta dopo le esplosioni nel porto. Macron si è detto pronto a ospitare a metà ottobre a Parigi una conferenza internazionale per aiutare il Libano e “secondo quanto riporta oggi Le Figaro – sottolinea Zanzucchi – ha minacciato la classe politica libanese di embargo sulle loro proprietà e conti bancari all’estero. Si tratta di un’azione portata avanti con la Merkel e l’Unione Europea”. Il problema è che la classe politica attuale non vuole perdere i propri benefici e farà di tutto per mantenere i propri privilegi. Risulta pertanto sempre più chiaro che “l’unica via di uscita per il Libano oggi sono nuove elezioni per una Assemblea costituente”, incalza il giornalista.
In un contesto così critico, le parole e l’azione diplomatica di Papa Francesco sono importanti. “In questo momento – spiega Zanzucchi – i libanesi sono particolarmente attenti a quello che si pensa del Libano all’estero. E non solo la voce del Papa è importante ma anche quella di qualsiasi leader politico europeo e mondiale. La pressione internazionale sul Libano e soprattutto sulla classe politica libanese è indispensabile. Da soli non riusciranno mai a uscire dalla crisi perché il sistema è troppo corrotto. Se hanno invece i riflettori puntati, qualcosa riesce a muoversi. Perché invece di aspettare mesi come hanno sempre fatto, hanno subito individuato un nuovo primo ministro? Perché sono stati spinti da una pressione internazionale che non gli ha lasciato alternative. Lo stesso ora deve accadere per la nomina dei ministri, auspicando che siano indipendenti come chiedevano i manifestanti nelle piazze”. “Il Libano ha bisogno di questa pressione dall’esterno perché l’attuale classe politica è impossibilitata ad uscire da sola dallo stato di corruzione e malgoverno”.