At 10,34.37-43; Col 3,1-4; Gv 20,1-9
Dopo i terribili giorni della sofferenza sorge l’alba della Pasqua, con la vita che esplode la morte. Nel risorto tutto ringiovanisce e trova luce. Dopo la notizia portata da Maria di Màgdala agli apostoli, Pietro e Giovanni corrono per verificare di persona e trovano il sepolcro sgombro, il sudario e le bende svuotate del corpo di Gesù. Pietro percepisce l’assenza del Maestro, Giovanni vede e crede che Gesù è risorto.
Fu così il mattino di quella Pasqua. È così ogni volta che con la stessa fede di Giovanni riconosciamo il risorto nel pane spezzato e nel vino versato. Pasqua ed Eucaristia: Gesù dona a noi la sua vita, perché anche la nostra sia impastata così. E tutto ritrova interesse e valore, innanzitutto la sofferenza e la morte.
L’Eucaristia è un velo che solo lo sguardo della fede può traversare. Ma anche quel mattino di Pasqua l’evidenza della resurrezione fu affidata a dei segni e, soprattutto, all’esperienza della presenza e all’incontro col Risorto. Nessuno “vide” la resurrezione. Gli apostoli e molti testimoni incontrarono il Risorto. Nelle apparizioni i protagonisti sono gli stessi testimoni: Maria di Magdala, le donne al sepolcro, i discepoli sulla strada di Emmaus.
Oggi è raccontata un’esperienza indiretta del risorto, la constatazione della tomba vuota e di alcune tracce. Questi segni sono però sufficienti per muovere la fede: “Entrò anche l’altro discepolo, che era giunto per primo al sepolcro, e vide e credette”. Non è un’esperienza minore, inferiore alle altre, anzi è significativa di come oggi un cristiano può partecipare all’evento centrale della propria fede, la Risurrezione, attraverso i segni dell’amore di Dio, anche se non vede il Risorto in carne ed ossa. Giovanni, il discepolo amato dal Signore, anticipa la beatitudine di coloro che “pur senza aver visto crederanno”. L’amore apre alla fede e non pretende di “vedere per credere”.
Lazzaro era uscito dalla tomba ancora avvolto nelle bende e nei panni della sepoltura. Qui tutto è lasciato nella tomba. Non c’è nessun paragone fra la resurrezione di Lazzaro e quella di Gesù. A differenza di Lazzaro, la morte non ha più alcun potere su Gesù. Continua ad averne su di noi finché non facciamo Pasqua. Vuol dire che la nostra vita non può essere come prima, perché Gesù è vivo ed è il principio di una vita nuova capace di un grande cambiamento di pensieri, sentimenti, gesti e parole. È possibile questo cambiamento che rinnova tutto, perché lui è in mezzo a noi.
Negli antichi codici, c’è la storia di una fanciulla, che aveva fatto parte del gruppo delle donne che avevano accompagnato Gesù fin sul Calvario. Era timida e riservata. Alla notizia della Risurrezione, non aveva avuto bisogno né di visioni né di conferme. Aveva creduto subito e si era fatta pellegrina per annunciare le parole di Gesù. Non aveva più paura. Un giorno un uomo, impressionato dalla sua testimonianza, le chiese: “Qual è il segreto del tuo coraggio?”. “L’umiltà, mi ha insegnato il Maestro”. “E a che cosa serve l’umiltà?”. “A dire per prima: ti voglio bene”.
Se oggi persino i bambini non sanno più cos’è Pasqua, perché la domenica è festa, perché le nostre città sono grigie e tristi, perché c’è tanta solitudine e disperazione, forse il suono delle campane può suggerire una risposta: “La vita senza Dio non funziona, perché manca la luce, perché manca il senso di cosa significa essere uomo” (Benedetto XVI).
Angelo Sceppacerca