1Sam 1,20-22.24-28; 1Gv 3,1-2.21-24; Lc 2,41-52
Finora Luca aveva raccontato l’infanzia di Gesù. Oggi indica il futuro di Gesù. I tre giorni di smarrimento a Gerusalemme sono il preludio della sua morte e risurrezione. Tra l’infanzia e il futuro da adulto stanno trent’anni di una vita umile e quotidiana a Nazaret.
A Gerusalemme i buoni ebrei erano invitati a recarsi in tre occasioni l’anno: Pasqua, Pentecoste e Tabernacoli. Chi era troppo lontano, poteva andarci una sola volta l’anno. Gesù, a 12 anni, è portato dai suoi a celebrare la pasqua. Fino a 13 anni il bambino era minorenne e i genitori dovevano insegnargli la Parola di Dio, unico Padre.
Dai 12 ai 13 anni era il tempo del tirocinio. A 13 anni diveniva adulto ed era tenuto a conoscere e a compiere la volontà di Dio. Gesù adempie l’obbligo del pellegrinaggio e sale verso il luogo di Dio. Lì, nel santuario, i genitori lo ritrovano dopo averlo cercato per tre giorni. Lo trovano in mezzo ai maestri, mentre li ammaestra nella parola di Dio. Dinanzi alla preoccupazione una vera angoscia! dei genitori (“perché ci hai fatto così?”), e ancor più dinanzi alle risposte di Gesù (“perché mi cercavate? Non sapevate che devo occuparmi delle cose del Padre mio?”), è ben logico il fatto che i suoi non compresero.
È troppo presto per comprendere. È ancora lungo il cammino. Mancano ancora trent’anni ai tre giorni in cui Gesù si smarrisce davvero, fuori dal tempio, appeso a un legno in croce, sepolto nella grotta scavata nella viva roccia.
Così Gesù ritorna nella sua umiltà e obbedienza a Nazaret, nel luogo della sua vita quotidiana e vi rimane trent’anni. Di questi decenni i Vangeli non dicono nulla, come niente dicono i libri della vita quotidiana di ognuno. A Nazaret Dio ha imparato tutte le cose dell’uomo: tutte, eccetto il peccato. Gesù a Nazaret è il grande mistero di Dio che assume tutta la nostra vita: tutta, compreso il perdono.
È vero. Anche Maria, all’inizio, non comprese il perché di quella fuga e di quelle parole. E tuttavia è il modello della Chiesa credente, perché custodisce ogni cosa, meditandola nel suo cuore, certa che quel seme crescerà e si manifesterà frutto pieno e saporito.
Un Vangelo difficile e denso, quello che oggi la liturgia offre nella festa della Santa Famiglia. Come difficile e densa è la vita di ogni famiglia. Non resta che imitare Maria e continuare a cercare Gesù attorno al tempio e alla parola di Dio.
Torniamo al Vangelo e alla festa di oggi, la Santa Famiglia. Gesù Bambino è presentato al tempio da Maria e Giuseppe, secondo la Legge di Mosè che stabiliva: “Ogni maschio primogenito sarà sacro al Signore”. Il primogenito deve essere offerto a Dio per riconoscere che egli solo è la sorgente della vita e Gesù viene offerto nel tempio perché egli appartiene totalmente al Padre che ne fa dono assolutamente gratuito per la salvezza di Israele e dell’umanità intera.
Simeone, il cui nome significa “Dio ha ascoltato”, vede nel bambino il compimento delle speranze di Israele e delle promesse fatte ai Padri e, nel suo cantico, proclama la gioia dell’umanità perché ad opera del Salvatore la morte è vinta ed è aperta per tutte le genti la via della vita. E Anna, la vedova, è figura di Israele e dell’umanità intera che trova il vero Sposo.
Molte famiglie cristiane non considerano i figli un incomodo, un peso o un lusso. Li accolgono come un dono incomparabile di Dio. Li educano con generoso impegno agli autentici valori umani e soprattutto alla vita di fede, attraverso una vigilanza assidua e una continua comunicazione di pensieri e affetti. La comunicazione della fede trova il suo momento privilegiato nella preghiera in casa. Sono famiglie che si costruiscono a immagine della Santa Famiglia di Nazaret, come una realtà santa nella sua origine perché voluta da Dio, santa nella sua dignità perché consacrata da Cristo con un sacramento, santa nel suo fine perché destinata a dilatare la Chiesa come corpo di Cristo e famiglia dei figli di Dio.
Ci sono anche tante famiglie cristiane in missione, nelle varie nazioni della terra. Di per sé ogni vera famiglia cristiana si pone in missione nel proprio ambiente; ma le famiglie propriamente missionarie offrono di questa vocazione un’attuazione radicale ed emblematica. Costituiscono, come una volta ha sottolineato il Papa, una speciale immagine della famiglia di Nazaret, anch’essa “in missione”. Una famiglia umana con una missione divina.
Angelo Sceppacerca