Domenica 18 ottobre

Is 53,10-11; Eb 4,14-16; Mc 10,35-45

Gesù preannuncia la sua passione e resurrezione per ben tre volte, nel Vangelo di Marco. Ogni volta, però, fa seguito l’incomprensione da parte dei discepoli. Anche nel brano di questa domenica Gesù torna ad insegnare loro qual è la vera grandezza e come il mettersi a servizio dei fratelli, fino alla fine, si contrapponga alla mentalità corrente. Non si scampa dalla scelta fra la logica del servizio e quella del potere. Senza la prima, la passione e morte del Maestro restano incomprensibili; con la seconda non c’è salvezza.

Giacomo e Giovanni sono testimoni privilegiati di alcuni episodi-chiave della vicenda di Gesù: la resurrezione della figlia di Giairo, la trasfigurazione, il discorso sulle “cose ultime” sul monte degli Ulivi, l’agonia nel Getsemani. Eppure neanche essi sfuggono alla tentazione di “misurarsi” con gli altri apostoli e di chiedere posti di preminenza, anche se “nella gloria”. Mentre Gesù spinge a entrare nel Nuovo Testamento, i discepoli ragionano e parlano mostrando di essere ancora nell’Antico, rinnovando la pretesa di occupare posti di prestigio e di potere. Gesù, con pazienza e dolce comprensione, educa e insegna: “Fra voi non deve essere così”. Per ben quattro volte, in soli tre versetti, indica e suggerisce la figura del servo, la “sua figura di Servo obbediente fino alla morte”.

Qual è la misura dell’umiltà di Dio? Di seguito alcuni lampi dalla profondità dello spirito.
L’umiltà del Cristo manifesta nel tempo che l’umiltà è al centro della gloria. La creatura cerca il suo Dio sulla linea della Potenza. L’umiltà è l’aspetto più radicale dell’amore. L’amore è povertà, dipendenza, umiltà. Non si può dire al tempo stesso “Ti amo” e “Voglio essere indipendente da te”. È commovente essere amato da qualcuno che è molto umile. Quando Giovanni dice nella sua prima lettera: “Dio è amore”, bisogna capire che l’amore non è un attributo di Dio, ma che l’amore è soggetto: dire Dio è dire Amore. Gli attributi di Dio, in conseguenza, sono gli attributi dell’amore: è l’amore che è onnipotente, sapiente, libero, buono e bello.

L’altissimo… È perché nessuna ombra di orgoglio appanna la pupilla dell’amante che il suo sguardo sembra, all’amato, venire da molto lontano, da molto alto, da un mondo senza opacità, né pesantezza, né ripiegamento su di sé.
La gloria… È l’apparire dell’essere, la sua manifestazione. Se l’essere è sorgente di luce, la gloria è incandescenza, fiammeggiamento, irradiazione. Incarnandosi e morendo, Dio rinunzia alla gloria, ma rivela la Gloria che è al di là della gloria. Non rimane né immagine, né concetto, né parole. Al posto di essi, l’evidenza della Croce.
L’onnipotenza… Ci sono voluti secoli perché il Dio degli eserciti fosse finalmente adorato come il Dio disarmato. L’umiltà non fa concorrenza a niente. All’estremo limite della potenza, essa è la vulnerabilità di un bambino deposto in una greppia o di un giovane inchiodato sulla croce.
L’onniscienza… Dio conosce tutto senza che nulla sia spettacolo per Lui.
La bellezza… Soddisfatta di sé, la bellezza si offusca, si imbeve di possesso. L’umiltà è uno degli attributi essenziali della bellezza.
La maestà… Il crocifisso, da solo, rivela la maestà di Dio, poiché nella morte sono espresse, senza nessuna obiezione possibile, l’intensità e la purezza dell’amore.
La discrezione… Dio rimane nascosto per non essere irresistibile; la sua invisibilità è pudore. Non vuole che di lui si possano fornire le “prove” così che la nostra ragione rimanga “incastrata” (Francois Varrilon, L’umiltà di Dio).

L’insegnamento di Gesù non fu facile da comprendere per i suoi discepoli, testimoni delle sue azioni e dei suoi segni in mezzo agli uomini; non lo è altrettanto per noi, oggi. A differenza degli apostoli noi, però, abbiamo la riprova e l’esempio di tanti discepoli del Signore che, in questi duemila anni di cristianesimo, hanno vissuto la sequela evangelica. Proprio in questa domenica, sei anni fa, è stata beatificata – nel senso che ha raggiunto quella gloria cui aspiravano i figli di Zebedeo – Madre Teresa, l’angelo di Calcutta. Dinanzi a lei è più facile comprendere l’insegnamento del Signore, il farsi servi di tutti, sempre, con gioia.

Angelo Sceppacerca