“32mila disoccupati e 220 milioni di dollari di perdite”: può essere riassunta in questi due numeri la crisi del settore turistico della Palestina che si è scatenata con l’inizio della pandemia di Covid-19. Danni ingenti che pesano come un macigno sul Pil palestinese che ha nel turismo una delle sue voci più importanti. “Le attuali difficoltà – affermano da Hlitoa, Holy Land Incoming Tour Operators Association, network che riunisce 50 operatori turistici palestinesi – sono ulteriormente aggravate dai debiti accumulati, frutto di ingenti investimenti nel settore turistico effettuati negli ultimi anni, in particolare nel 2019, quando il trend di arrivi dall’estero era in continua crescita”. I numeri, forniti da Hlitoa, mostrano che “nel 2019 i turisti e i pellegrini che hanno visitato la Palestina (Gerusalemme Est e Cisgiordania) sono stati 3,5 milioni (circa 3 milioni nel 2018, ndr.) per entrate che sfiorano 1 miliardo di dollari alimentando il settore che conta oltre 32.000 addetti”, oggi quasi tutti rimasti senza lavoro.
Rischio fallimento. Tony Khashram, presidente di Hlitoa e amministratore delegato di Aeolus Tours, in un articolo apparso nel numero di agosto della rivista “This week in Palestine”, ripreso anche dal sito del patriarcato latino di Gerusalemme, avverte del “rischio scomparsa” delle aziende del comparto turistico se la crisi attuale dovesse continuare come previsto per almeno un altro anno o più. Tra i principali motivi di preoccupazione, evidenziati dal presidente di Hlitoa, “le enormi perdite, dovute alla cancellazione di prenotazioni e biglietti aerei, e la mancata riscossione di crediti vantati verso aziende turistiche straniere, fallite a loro volta per il Covid-19”. A ciò si aggiunga che “il numero limitato di turisti e pellegrini previsto nelle prossime stagioni non sarà in grado di coprire i costi di gestione dei tour operator locali che non saranno in grado di riconfermare il proprio personale e di garantire i servizi”. “Il fallimento dei tour operator palestinesi a Gerusalemme Est, Betlemme e Ramallah – afferma Khashram – porterà inevitabilmente alla liquidazione di tutti i fornitori di servizi turistici, come hotel, guide turistiche, trasporti turistici, ristoranti, negozi di souvenir e altro ancora”.
I numeri della crisi. A pagarne le conseguenze saranno così “gli hotel a Gerusalemme Est e nel resto della Palestina che impiegano oltre 8.800 lavoratori che supportano circa 7.500 famiglie palestinesi”. Se nel 2019 le entrate del settore ricettivo palestinese (che dispone di 17.830 posti letto) erano state di 176 milioni di dollari, per il 2020 si prevedono perdite totali di 220 milioni di dollari”. Stesso discorso, aggiunge il presidente di Hlitoa, vale per gli “oltre 135 ristoranti – con i loro 800 dipendenti – di Gerusalemme Est e della Cisgiordania specializzati nella ristorazione per i turisti esteri. Le perdite previste per il 2020 ammontano a 7,3 milioni di dollari, corrispondente alle entrate del 2019. Calcolando che il tempo di rientro dagli investimenti per gli hotel è di circa 10 anni, lo stop provocato dal Covid-19 – spiega Khashram – rischia di portarli inevitabilmente al fallimento e con essi anche i loro fornitori (alimenti, bevande, pulizia e servizi vari)”. Stato di crisi anche per i trasporti turistici che si muovono sulle ruote di 1.250 nuovi bus che hanno un valore di 280 milioni di dollari. Il fermo di questi mesi imposto dalla pandemia, “ha svalutato del 30-40% il valore di questo parco macchine e lasciato a casa 1.450 autisti. I debiti dei proprietari dei bus verso le banche israeliane e palestinesi ammontano a 85 milioni di dollari”. Perdite anche per le 650 guide turistiche palestinesi, il cui lavoro generava “un introito annuo di 21 milioni di dollari”, e per le fabbriche di artigianato e souvenir.
Un fondo di aiuto. “Siamo davanti ad una vera catastrofe – rimarca il presidente di Hlitoa – e non vediamo nessun tentativo di salvataggio di questo settore vitale per l’economia palestinese. Molti imprenditori turistici sono sull’orlo dell’insolvenza e le banche non avranno pietà. Ci vorrà molto tempo prima di tornare ai livelli pre-Covid-19. Le Istituzioni – conclude – devono attivare quanto prima un fondo di aiuto per fermare questa emorragia e favorire la ripresa del mercato”.